mercoledì 24 marzo 2021

Leggere Omero per tornare esseri umani durante la pandemia

 






 

 

 

La letteratura è vita. Questo è un concetto che la scuola difficilmente riesce a far passare, imbrigliata tra programmi ministeriali, interrogazioni e compiti. Cresciamo con l'idea che i libri siano completamente separati dalla realtà che viviamo, dalle persone che siamo. Chi scrive lo fa perché quello che esce fuori dalla penna è vita vissuta, non qualcosa di altro destinato alla polvere nelle biblioteche, ma un condensato di anni, secoli di esperienze, rinchiuso in qualche centimetro di carta.

Le insidie dell'esistenza si mettono contro di noi, e allora ci vengono in aiuto i classici, opere letterarie che hanno la capacità di parlare a ogni essere umano di ogni epoca, la cui grandezza inizia una collaborazione incessante con la fragilità e il bisogno di consolazione di chi legge, contribuendo a far nascere nuove interpretazioni a seconda delle epoche, delle debolezze e dell'orizzonte culturale del lettore, fornendo risposte a quesiti sempre nuovi. I classici sono anche quei libri immensi di cui pensiamo di conoscere tutto per sentito dire, ma ogni volta che li leggiamo scopriamo dettagli inimmaginati: è il caso della madre di tutti i romanzi, l'opera che ha generato tutta la letteratura occidentale, la storia dell'uomo dal pensiero complesso e (per questo) odiato da tutti, l'Odissea.

Dante, nella sua concezione fideistica della vita lo vedeva come un maestro di inganni, che a causa del suo bisogno di conoscenza supera i limiti umani e cerca di assomigliare a un dio, per questo lo fa inghiottire dal mare e dall'Inferno; Primo Levi lo vede in chiave antinazista, Pascoli immagina le sue vicende dopo il ritorno a Itaca, Joyce lo usa per raccontare le nevrosi dell'uomo moderno. Noi, leggendo oggi l'Odissea, vedremmo raccontate le difficoltà e i continui ostacoli dell'essere umano chiuso in casa, privato delle sue relazioni e delle sue libertà tipiche del periodo pandemico. Le associazioni sono fin troppo facili: anche noi come Ulisse ci troviamo continuamente di fronte a difficoltà che sembrano irrisolvibili, una segue l'altra ed è come se vivessimo una realtà fantascientifica, come se avessimo attraversato il muro di nebbia e vivessimo in un mondo parallelo in cui succedono cose terribili e impensabili. Anche noi cerchiamo la nostra Itaca, la "normalità" che ormai già ricordiamo come qualcosa di passato e irraggiungibile.

Ma come fa Ulisse a superare ogni sfida? Anzitutto, lui non è un supereroe. O meglio, lo è, ma non ha poteri sovrannaturali, al contrario di molti personaggi della mitologia. Non ha neanche grandi abilità nel combattimento. Certo, è sopravvissuto a una guerra, ma nell'esercito acheo c'erano sicuramente guerrieri più forti e temibili, come Achille, Aiace Telamonio, Diomede. La caratteristica che rende unico Ulisse è sì il suo ingegno multiforme, ma anche la sua capacità di incarnare tutti i valori più alti dell'essere umano, nel bene e nel male. Ulisse non avrebbe mai scritto un'ipotetica "guida per tornare a Itaca in 3 semplici passi", non era alla ricerca della positività a tutti i costi, delle good vibes, come invece un Ulisse moderno probabilmente farebbe. Ulisse andava avanti a ogni costo, ma era lacerato continuamente dalla paura, dall'incertezza, dai sensi di colpa, dalla nostalgia. Ulisse vince la maggior parte delle volte, ma la caratteristica che lo rende un supereroe è che prima di ogni nuova sfida non sa mai se vincerà o perderà, e anzi, qualche volta perde. Perde tutti i suoi compagni, anzitutto. Non ne riesce a portare neanche uno tra gli uomini delle dodici navi partite per la guerra. Perde, almeno in parte, la fiducia del suo popolo, quando stermina i suoi stessi sudditi nella sua casa. Siamo abituati a pensare che l'Odissea finisca con un lieto fine, il ritorno dell'eroe a casa. Non è così, il poema finisce con una strage e un'altra partenza. Ulisse continua a errare, continua a vagare e quindi a sbagliare. Ulisse è un uomo che sa sbagliare e accetta di sbagliare. Non gli interessa la perfezione, neanche quella fisica. Calipso ad esempio è forse l'unica donna. oltre Penelope, per cui Ulisse ha provato un sentimento che si possa avvicinare a quello che si chiama amore. Gli propone non solo l'immortalità, ma gli mette davanti gli effetti del tempo sui corpi di Penelope e di suo figlio, corpi che invecchieranno inevitabilmente. A Ulisse non interessa l'immortalità, preferisce quella sottile, crudele e lacerante maledizione di essere uomini, quella che rende possibile il coesistere di due volontà uguali e contrarie, il bisogno di stabilità e quello di conoscere cose sempre nuove per sentirsi vivi. Calipso abita un'isola in cui non piove mai, ma quando Ulisse sbarca la dea fa scendere la pioggia di tanto in tanto, perché l'uomo ha bisogno della pioggia per apprezzare il cielo sereno.

I nostri Ciclopi sono la mancanza di relazioni sociali, le tempeste la mancanza di lavoro, i temibili Lestrigoni sono le ormai insostenibili morti con cui siamo bombardati ogni giorno. L'unico modo per non cedere mentalmente è fare come Ulisse, avere sempre presente per cosa si combatte, e sapersi perdonare se a volte a prevalere è la nostra incapacità a reagire. Ma soprattutto ricordare che è inutile rinunciare a vivere ora per un domani che sarà. Non possiamo rimandare progetti, parole e la nostra stessa felicità a quando tutto sarà finito, non solo perché intanto il tempo passa, ma anche perché non sappiamo come sarà il domani. Finita la pandemia ci attendono nuove sfide, non solo quelle personali, che ognuno di noi dovrà affrontare, ma anche sfide globali, come il riscaldamento globale. Anche qui l'Odissea ci parla: l'antagonista principale di Ulisse è niente meno che Poseidone, il dio terribile che governa il mare. Gioca con lui come al gatto col topo, dopo aver cercato di doppiare capo Malea Ulisse entra in una nebbia immensa che lo porta nel regno dei mostri, delle creature marine, di Scilla e Cariddi, il regno degli dei, dove Poseidone regna sovrano, e neanche dopo il ritorno nel regno dove gli uomini mangiano pane la sua ira si spegne. Per placarla, Ulisse dovrà compiere la sua ultima grande "fatica", andare verso oriente, portare un remo sulla spalla e camminare finché sarà arrivato tanto lontano dal mare da incontrare un uomo, che confonderà il remo con uno strumento agricolo, e li dovrà immolare degli animali in onore di Poseidone. Omero non ci racconta questa ultima sua avventura, ma anche noi uomini moderni dovremo fare i conti non solo con il mare, ma con il vento, la Terra, il sole e vincere la sfida climatica. Il dio del mare infatti non perdona nessuno nell'Odissea, neanche i Feaci, discendenti dello stesso dio e puniti da lui perché accompagnarono Ulisse a casa. Un vero atto d'amore il loro, che sapevano della possibilità di venire puniti dal loro dio, ma decidono comunque di salvare Ulisse. Un altro messaggio da Omero, questa volta rivolta a chi ci governa e a chi gestisce l'emergenza sanitaria: ci si tira fuori dalle difficoltà solo mettendo da parte i nostri interessi, i nostri orticelli, in cambio di traguardi immensi. La sospensione delle licenze dei vaccini ad esempio sarebbe un'operazione degna dei Feaci, e a proposito dei vaccini è giusto ricordare almeno altri due episodi dell'Odissea: l'incontro con Eolo e l'uccisione dei tori del dio Helios da parte dell'equipaggio. Eolo, il dio dei venti, dona a Ulisse un otre in cui racchiude tutti i venti tranne quello favorevole per riportarlo a casa. Per tornare non dovrà fare altro che seguire la rotta e non aprire l'otre. Il regalo in realtà sa di presa in giro e già si presagisce cosa succederà: l'otre verrò aperto dai compagni di Ulisse mentre lui era addormentato, perché nonostante le raccomandazioni credono che in quell'otre ci sia un tesoro che Ulisse vuole tenere per sé. Nell'isola di Helios i compagni di Ulisse manifestano ancora una volta una mancanza di fiducia nei suoi confronti: Tiresia, il più grande tra gli indovini. predice a Ulisse che se in un'isola lascerà intatti i tori sacri a Helios, potrà tornare con i compagni salvi a Itaca. Ma nell'isola c'è una carestia improvvisa, i venti cessano, il caldo uccide pesci e selvaggina, risparmiando solo i tori, che vengono uccisi e mangiati dai compagni di Ulisse nonostante le raccomandaizoni. I compagni inevitabilmente moriranno tutti, dal primo all'ultimo, alla prima tempesta. In situazioni difficili affidarsi a un'autorità risulta difficile perché il panico prende il sopravvento e cerchiamo di fare di testa nostra. Ci può andare bene o male, nessuno può dirlo. Ai compagni di Ulisse intanto è andata malissimo.

L'Odissea è un poema immortale perché per rendere umanamente sopportabile i tanti nodi che si accavallano durante la nostra vita e per dare loro senso, o almeno per dare a noi stessi un senso, abbiamo bisogno di osservare, ascoltare e sapere che qualcun altro quei nodi li ha vissuti e in parte è riuscito a scioglierli. E' così che funzioniamo, è per questo che leggiamo, guardiamo film, ed è per questo che andiamo a teatro a vedere commedie e tragedie. E così Omero ci direbbe che tranquilli, tutto questo non è niente di nuovo. I problemi sembrano non finire mai? Un dio ha scatenato una pestilenza in tutto il mondo, e gli indovini (in questo caso, i virologi) sembrano non avere alcuna soluzione, o, al contrario, sembrano averne tante, che è poi la stessa cosa? La fine di tutti i problemi a volte si avvicina, ma poi ogni volta arriva qualcosa che vi spinge lontano? Niente di nuovo, è solo la storia dell'uomo. Ma io vi racconto di un uomo che nonostante tutto, nonostante la guerra, la pestilenza, la morte, la mancanza dell'amore di un figlio e di una moglie, nonostante mostri, cannibali, perdita di amici e compagni, segue comunque la sua strada. Quest'uomo è Ulisse, il padre di noi tutti.