giovedì 25 luglio 2019

Calexico and Iron & Wine a Roma, il racconto del concerto






Suoni polverosi, provenienti da una bottega di antiquariato, ripuliti d una veloce leggera, dolce e calda come il vino, barba lunga. Testi veloci e bucolici, quasi felliniani: questo è in estrema sintesi l'indie folk di Samuel Ervin Beam, cantautore statunitense conosciuto al grande pubblico per essere l'autore di Flightless bird, American mouth, struggente ballata inserita nel primo film della saga di Twilight.
Ritmi latini, psichedelia, jam session in cui si sposano jazz e folk, tutto questo sono i Calexico, band folk rock dell'Arizona. Calexico e Iron and wine avevano già collaborato nell'album In the Reins del 2005 prima di scrivere un nuovo album registrato in soli 5 giorni, Years to burn.
A Villa Ada il 24 luglio è andato in scena tutto questo, in un incontro-scontro di sonorità e atmosfere che ha saputo creare momenti di estrema intimità, uniti a momenti dionisiaci in cui batteria e contrabbasso si lanciavano in assoli surreali.

La scaletta del concerto è stata basata quasi interamente sulle collaborazioni presenti e passate, divisa essenzialmente in 3 parti:
-La prima in cui gli accordi legnosi di Sam (frutto di una particolare tecnica chitarristica basata sulla plettrata molto vicina al ponte della chitarra, per dare un suono più duro e indie) hanno accompagnato le pazzesche jam ipnotiche, come ad esempio "The Bitter suite". La chitarra di Sam a volte si limita ad accompagnare, ma lo fa sempre con gran classe, cercando con le accordature aperte di dare suoni sempre diversi e interessanti. Degni di nota due assoli di contrabbasso e tromba, supportati dall'ottima batteria jazz di John Convertino
-Nella seconda parte, interamente unplugged, Joey Burns (voce dei Calexico) e Sam sono da soli sul palco, e deliziano il pubblico con pezzi intimisti scambiandosi i rispettivi repertori.
-Nell'ultima parte torna la band, che però purtroppo non riesce a ricreare la magia della prima parte.

Come spesso succede in molte collaborazioni musicali, il risultato finale può essere poco amalgamato e il pubblico più affezionato a momenti di grande empatia acustica può non essere pronto per ascoltare una jam e viceversa. La scommessa degli interpreti è stata grande, e proprio per questo possiamo dire che è stata vinta, almeno dal punto di vista musicale. Lo spettacolo ha inebriato chi è andato lì per perdersi e non per trovarsi, per dimenticari ogni punto di riferimento sonoro, ha premiato chi, abituato al linguaggio senza parole del ritmo e degli assoli, è riuscito a farsi affascinare da una voce e una chitarra, e chi invece, amante delle storie e di chi le sa raccontare, si è lasciato andare per una sera al fascino del folk rock psichedelico. In alcuni punti, soprattutto verso la fine, la band era spenta e lo spettacolo purtroppo ne ha risentito, ma a Villa Ada è stata una serata da ricordare, una serata in cui il folk in uno dei punti più alti si è incontrato, ha comunicato e si è lasciato andare a dichiarazioni d'amore e amplessi