mercoledì 12 luglio 2017

Perché il cinema di Pasolini non è neorealista






Mi è capitato spesso di sentire studenti, manuali e professori definire il cinema di Pasolini "neorealista". Questa è a mio avviso una banalizzazione, che dimostra che il cinema di Pasolini, così come la sua opera in toto, non è stata ancora capita del tutto. In questo articolo proverò a spiegare perché.

Partiamo prima di tutto col definire cos'è stato il neorealismo nel cinema italiano. 
Il neorealismo nel cinema è un fenomeno tutto italiano, la cui nascita solitamente si fa risalire al 1943 con Ossessione, di Luchino Visconti. Il neorealismo, a livello teorico e programmatico, nacque attorno alla rivista Cinema, fondata da Ulrico Hoepli e che contava tra i suoi collaboratori anche Visconti e Antonioni. Visconti soprattutto aveva già avuto esperienze internazionali collaborando con Jean Renoir, collaborazione che gli permise di entrare in contatto con il realismo poetico, corrente cinematografica francese che pose le basi del cinema moderno, i cui esponenti principali furono Renoir e Marcel Carné, Il neorealismo deve molto al realismo poetico francese, ereditando l'attenzione per i luoghi di periferia, per l'eroe tragico e per la povertà.
Tra i film neorealisti più importanti, oltre a Ossessione, vanno ricordati ovviamente Roma città aperta, La terra trema, Paisà, Germania anno zero, Ladri di biciclette, Scuscià, Riso amaro, Il bandito, La strada. Già da questi film si delineano in modo preciso quello che è stato il cinema neoralista: utilizzo di attori venuti dalla strada, bambini come protagonisti, interesse documentaristico per la realtà con una marcata intenzione di denuncia sociale, riprese di esterni, attenzione per le classi popolari.
Il neorealismo influenzò tutto il cinema italiano, sia dal punto di vista tecnico che tematico. Impossibile per un regista operante negli anni '60 non fare riferimento al neorealismo per girare un film.

Pasolini gira il suo primo film nel 1961, quando il fenomeno Neorealismo stava già esaurendosi (gli ultimi film risalgono al 1958, anche se Rocco e i suoi fratelli, del 1960, talvolta viene considerato come neorealista), tuttavia non è per motivi cronologici che i film di Pasolini non sono neorealisti. 
Accattone (1961) al primo sguardo può apparire come un film sulla povertà, una sterile denuncia sociale, una santificazione della povertà contro la società cattiva. Accattone non è niente di tutto questo. Il vero fulcro del film l'evoluzione del personaggio Accattone è il suo desiderio di salvezza, non è la denuncia sociale della povertà delle borgate, non  c'è nessun intento documentaristico che vuole mostrare la condizione delle classi subalterne, così come in tutta l'opera di Pasolini non c'è nessuna denuncia sociale per le condizioni del sottoproletariato, almeno intesa come la denuncia sociale del Dopoguerra. Anzi, Pasolini visse come una tragedia proprio il passaggio del sottoproletariato da membro inconsapevole della storia dell'umanità a manifestazione volgare della media borghesia. E' quando il sottoproletariato si arricchisce che si ha l'omologazione. L'interesse di Pasolini per il sottoproletariato è un interesse totalmente spoliticizzato, è un interesse religioso, sacro, vitale. E' questa la sua "denuncia sociale".
E' proprio questo suo interesse così intenso per l'umanità ai confini della società che lo farà diventare un marxista poco ortodosso. Il marxismo ha fede nel proletariato perché un giorno riuscirà a sovvertire i rapporti di classe, mentre Pasolini è attratto dal sottoproletariato perché è portatore di una sacralità ancora intatta: la sua attrazione per il sottoproletariato è tanto intensa che diventerà anche e soprattutto attrazione sessuale.
Il film è pervaso da un potente onirismo, che trova il suo culmine nella scena in cui alla violenza dei criminali napoletani viene associata la musica di Bach. Quest'associazione è del tutto estranea al cinema neorealista, e dimostra quanto le intenzioni di Pasolini siano altre rispetto a quelle dei suoi illustri predecessori. Un'altra scena che separa in modo definitivo il cinema di Pasolini da quello Neorealista è quando Accattone sogna di essere in Paradiso. Questa scena è onirica per definizione, totalmente estranea a film neorealisti come Ladri di biciclette o Paisà.

Mentre nel Neorealismo la speranza di evadere dalla povertà è raccontata in modo positivo e giusto (d'altronde avevamo appena passato la Seconda Guerra Mondiale), la voglia di mettere la testa a posto da parte di Accattone si rivela la sua condanna terrena: è proprio quando inizierà a lavorare e a guadagnare che Accattone perderà la sua spontanea vitalità. Il lavoro e il guadagno rappresentano l'avvicinamento al mondo borghese, avvicinamento totalmente dannoso per il sottoproletariato.

L'influenza del Neorealismo tocca Pasolini in modo solo superficiale (tra l'altro Pasolini criticò apertamente il Neorealismo, dicendo che era troppo ancorato alle politiche della Resistenza e offriva un realismo solo superficiale), vengono affrontate tematiche talmente differenti che è impossibile etichettare Pasolini neorealista. Accattone è un film sulla Misericordia, non sulla povertà.





lunedì 3 luglio 2017

"È mai possibile, o porco di un cane...?" Storia di una canzone







Di pochi personaggi si può dire che abbiano influito sulla cultura italiana quanto Paolo Villaggio. Per "cultura" non si intende solo quella alta, ma anche quella che rappresenta i nostri modi più vicini di pensare e di essere italiani. Oltre a essere stato uno dei più grandi attori comici e sceneggiatori italiani, Paolo Villaggio ha stretto un personale e profondo sodalizio con uno dei maestri della musica d'autore italiana, Fabrizio de André. Da questo sodalizio sono nate canzoni scritte a quattro mani, che mostrano come Paolo Villaggio abbia comunque saputo lasciare il segno anche nel campo della musica italiana.
L'amicizia con Faber nasce nel 1948 in montagna, a Cortina d'Ampezzo. I due saranno compagni di vita fatta di esperienze dissennate, amicizie con prostitute, notti passate a casa di sconosciuti trovati in strada, insomma quella vita tipica di due giovani borghesi sotto il pesante influsso dell'avvento della cultura beat.
L'amicizia negli anni Sessanta diventa anche artistica, e porterà alla scrittura di tre canzoni: "Delitto di paese", "Il fannullone" e "Carlo Martello ritorna dalla battaglia di Poitiers", una delle canzoni più famose di Faber, e una delle più belle e fresche della musica italiana.
La canzone fu scritta il giorno prima della nascita dei figli di Paolo e Fabrizio (Pierfrancesco e Cristiano sono infatti nati nello stesso giorno), con Fabrizio alla chitarra e Paolo con carta e penna.

La canzone ha per tema un evento storico, la Battaglia di Poitiers in cui secondo la tradizione Carlo Martello fu decisivo nella cacciata dei Mori (in realtà secondo storici moderni la battaglia fu un evento insignificante, durato pochi giorni e senza vincitori e vinti). Il linguaggio è ironicamente aulico, e evidenzia il lato più volgare e rude del potere e del suo abuso. Carlo Martello infatti, tornato dalla battaglia, va da una prostituta, che inizialmente lo rifiuta perché l'elmo le cela la sua vera identità. Riconosciuto il re, la donna non può sottrarsi, ma dopo tenta la sua rivincita chiedendogli soldi, denaro che non vedrà mai perché il re scapperà in modo vigliacco.
Il testo è influenzato da un genere in voga ai tempi dei trovatori francesi, che in lingua d'oc componevano, tra gli altri, anche testi su incontri amorosi tra cavalieri e contadine, in ambienti pastorali appunto. 
Le citazioni colte non mancano nonostante l'evidente ironia del testo, evidenziata anche dal tono esageratamente pomposo della voce di De André. In partocolare è citato due volte Dante: "Poscia, più che 'l dolor poté 'l digiuno" (Divina Commedia, Inferno, Canto XXXIII), il famoso verso riferito al conte Ugolino, ma viene citata anche la Vita Nova (capitolo XXII versetto 1) "mirabile visione".
La canzone restò abbastanza sconosciuta per anni (fu tra l'altro uno dei primi casi di censura a De André, da parte dell'Italia bacchettona e democristiana), salvo poi acquistare sempre più popolarità, diventando uno degli esempi della sottile e tagliente ironia di Fabrizio De Andrè.

Il pezzo è contenuto nel Volume I del 1967, ma risale al singolo del 1963,che contiene anche Il fannullone, altra canzone con il testo firmato da Paolo Villaggio.
Dall'analisi della canzone scritta da un allora sconosciuto Paolo Villaggio emerge già tutta l'ironia e la carica di satira che esploderà poi nel personaggio di Fantozzi. 

Fabrizio De André è soprannominato Faber, come i pastelli che amava, soprannome che avrà un successo enorme anche tra i fan. Il soprannome lo ha inventato proprio Paolo Villaggio, e penso che il nome, l'oggetto più intimo e identificativo che una persona possiede, sia il regalo più bello che un amico ci possa fare.