sabato 18 aprile 2020

Perché ascoltare "Hey you" può salvare la salute mentale di tutti noi

Mi trovo nella mia camera dopo più di un mese di quarantena, siamo a metà aprile, in questo pomeriggio ho preso la chitarra e avevo una grande voglia di suonare Hey you dei Pink Floyd. Mi sono messo davanti alla finestra aperta. L'immedesimazione è una parte fondamentale per l'interpretazione di un pezzo, e data la situazione che stiamo vivendo, non mi sono dovuto nemmeno sforzare un po' per immedesimarmi nel protagonista, Pink. Ho cantato in tonalità originale senza microfono (nella seconda strofa Roger Waters raggiunge note parecchio alte) sperando che qualcuno mi ascoltasse. Una volta finito il pezzo, nella mia camera entra la mia compagna di quarantena, mia nonna, che completamente digiuna di musica rock mi chiede di chi fosse la canzone, e mi di dice che le ha dato una sensazione di morte.
L'osservazione mi ha molto colpito ed è stata la motivazione che mi ha spinto a scrivere queste poche righe. E' stata particolarmente interessante perché dicevo, mia nonna è completamente digiuna di musica rock e soprattutto digiuna di inglese. Non ha detto che le ha comunicato tristezza, o malinconia, o senso di solitudine, ma ha indicato qualcosa di preciso e concreto. Ha ricevuto la sensazione soltanto dagli elementi musicali che il suo orecchio ha potuto percepire: armonia, ritmo, melodia e dinamica, e la sua sensazione è sta più che pertinente: Hey you, come l'intero album The wall, è certamente un pezzo che parla di morte, spirituale certo, ma comunque morte.

Il mio rapporto con il rock è stato molto controverso: di solito ci si avvicina durante l'adolescenza perché si odia il mondo, e ci si rifugia in qualcosa che ci dica che possiamo sconvolgerlo. Io da adolescente assolutamente atipico non ho mai sentito il bisogno di ribellarmi, e mentre i miei coetanei ascoltavano Nirvana e Pink Floyd io ascoltavo il cantautorato italiano. Ho approfondito le mie conoscenze anni dopo, e ho imparato ad apprezzarlo anche grazie a questo pezzo, che mi è piacito da subito perché non è semplice ribellione, ma è una richiesta di aiuto. Pink è completamente isolato dal mondo esterno, ha costruito un muro tra lui e il mondo con le sue mani, ma è pentito e si accorge troppo tardi che ha un disperato bisogno dell'uomo che cammina da solo nel freddo e che invecchia pian piano con i suoi sorrisi che si spengono, di chi è solo davanti al suo telefono. Di chi insomma, soffre e vive di solitudine esattamente come lui. Hey you oltre alla morte, comunica sicuramente forza. Il potente basso nell'assolo, la voce di Roger Waters nell'ultima strofa. Una forza che parte da un leggero arpeggio di chitarra acustica che si trasforma con un climax sonoro fino allo straziante assolo di chitarra, che rimanda all'ambiente militare (The Worms, il movimento che Pink abbraccia proprio in questo pezzo, è non a caso un movimento fascista). La genialità dei Pink floyd sta tutta qui. L'arpeggio leggero di chitarra diventa un tornado, la debolezza diventa forza. Ma se diventa forza, significa che già al suo interno la conteneva: ogni richiesta di aiuto, anche se apparentemente prerogativa dei deboli e di chi non riesce a trovare il coraggio in se stesso, è in realtà la più grande manifestazione di forza che esista, perché solo chi sa di non poter bastare a se stesso sa chiedere aiuto, e avere la consapevolezza di non poter bastare a se stessi è un atto di grande umiltà e sacrificio spirituale. In un mondo dove i contatti umani sono adesso impossibili ci rendiamo conto che in realtà erano più forti di quanto pensassimo e che come Pink, avevamo e abbiamo un disperato bisogno del nostro vicino di metro che era chino sul suo smartphone.

Hey you ci aiuta a tuffarci dentro la nostra anima, ci invita ad ascoltare fino in fondo la nostra fragile e umana richiesta, per quanto dolorosa essa sia, e ci insegna che non esiste nessun assolo devastante senza un arpeggio intimo, non esiste nessuna forza senza debolezza.