giovedì 29 dicembre 2016

La Divina Commedia in "Accattone"


L'influenza di Dante in Pasolini è presente in tutte le sue opere ed è fin troppo nota: dalla “Divina mimesis”, parodia provocatoria della Divina Commedia, a “Trasumanar e organizzar”, che riprende addirittura nel titolo la lingua sperimentalista di Dante. Proprio lo sperimentalismo linguistico è l'elemento che più li accomuna. L'influenza di Dante è presente anche in alcuni suoi film, e qui andremo ad analizzarla proprio nel primo film pasoliniano, Accattone. Il film si apre proprio con una citazione fedele ed esplicita tratta dal V Canto del Purgatorio:”L'angel di Dio mi prese, e quel d'Inferno gridava: 'O tu del ciel, perché mi privi? Tu te ne porti di costui l'eterno per una lagrimetta che 'l mi toglie” (interessante notare il corsivo di lagrimetta). Sarà utile quindi parlare ora del V Canto e del contsto da cui viene estrapolata la citazione, perché non è una citazione messa lì per caso e anzi offre una chiave di lettura del film molto interessante.

Il V Canto è il Canto dei morti per forza, cioè i morti di morte violenta e improvvisa. Essendo in Purgatorio, in vita sono stati peccatori fino all'ultimo, ma proprio sul punto di morire si sono pentiti. Dante suscita la curiosità delle anime perché proietta ombra essendo vivo e s fermano ad indicarlo, mentre Virgilio lo esorta a non dare ascolto alle chiacchiere di quelle anime. Deve rimanere inflessibile come una torre disturbata dai venti, perché troppi pensieri distolgono l'uomo dagli obiettivi che si è proposto. Ma le anime sono molte e come tutte le anime del Purgatorio vogliono essere ricordate ai familiari, affinché preghino per la loro redenzione. Per cui Virgilio dice a Dante di limitarsi ad ascoltare le loro storie senza fermarsi. Parlerà con Iacopo del Cassero, Bonoconte da Montefeltro e Pia de' Tolomei. L'episodio citato da Pasolini però riguarda proprio Bonoconte: è una vittima della battaglia di Campaldino, e sua moglie non prega per lui perché tutti lo credono all'Inferno: prova ne è il fatto che il suo corpo non sia mai stato trovato. Incuriosito, Dante chiede perché il suo corpo non sia mai stato ritrovato e Bonoconte risponde che arrivò nel fiume Archiano con la gola squarciata (interessante l'elemento del fiume, che nel film ha un ruolo molto importante). Si pentì invocando Maria e un angelo (altra figura presente nella scena del tuffo nel Tevere) prese la sua anima, mentre un diavolo protestava perché per un pentimento non poteva portarlo all'Inferno. Scatenò allora una tempesta che scatenò la piena dell'Archiano che portò via il suo corpo, sul fondo del fiume. Il contrasto tra angelo e diavolo per la contesa delle anime è una leggenda comune del Medioevo, e viene trasformata da Dante in un dramma elegiaco di un corpo insepolto.

Ora veniamo al film. La storia di Accattone potrebbe essere benissimo la storia di uno dei morti per forza di Dante. Accattone è uno sfruttatore di prostitute che vive alla giornata, con una mentalità tipica del sottoproletariato, tra meschinità, ignoranza e semplicità. La presenza della morte è presente dall'inizio alla fine del film, a cominciare dalla scena del tuffo. Accattone fa una scommessa con uno della sua combriccola, secondo il quale il corpo umano non potrebbe sopportare un bagno dopo aver mangiato, perché la differenza di temperatura farebbe fermare la circolazione (tra l'altro è una leggenda popolare ancora ritenuta vera oggi, sebbene sia una teoria senza fondamento effettivo). Accattone accetta la scommessa e tutti lo cominciano a dare per spacciato, iniziando a fare allusioni ironiche sulla sua probabile morte. Come scritto sopra, sul ponte si vede chiaramente la statua di un angelo con una croce vicino ad Accattone, scena che se rivista dopo aver visto tutto il film, fa capire che la redenzione di Accattone era presente sin dall'inizio: Accattone era destinato a pentirsi e a salvarsi. L'angelo è l'angelo che lotta contro il diavolo per la sua anima, lo si capisce dalla citazione iniziale ma anche dalla scena seguente: una volta riemerso vivo, arrivano er tedesco e Peppe er folle. Uno dei due gli dice che lo ha protetto Santo Barberone, e subito dopo si chiede chi avrà preso la sua anima, se Gesù Cristo o il Diavolo. Gli viene risposto che probabilmente se la staranno litigando. Altro riferimento alla lotta tra l'angelo e il diavolo per l'anima di Bonoconte, stavolta più nascosto e allusivo.
La vita di Accattone cambia con l'incontro con Stella, una ragazza ingenua e semplice. Proprio grazie a Stella smetterà di sfruttare le prostitute, e forse conoscerà il vero amore per la prima volta. Gli indicherà il cammino, proprio come le aveva chiesto scherzosamente durante il primo incontro. Tra l'altro “stella” è una delle parole più importanti della Commedia, improbabile che quel nome sia lì per caso. Il cammino di redenzione di Accattone è cominciato, ma trova un ostacolo improvviso: il lavoro, che gli serve per mantenere Stella. E' stancante e soprattutto umiliante, per cui decide di tornare a rubare. Prima però fa un sogno. Sogna di vedere i cadaveri dei briganti napoletani e di assistere al suo funerale. Scavalca il muro del cimitero perché non gli è permesso di entrare dalla porta principale, (un riferimento al Purgatorio?) e si trova davanti a un paesaggio di luce, metafora del Paradiso. Il becchino sta scavando la sua fossa, ma la scava in una zona d'ombra e Accattano vuole essere sepolto alla luce. Lo ripete più volte, simbolo di un pentimento convinto e sincero. Ma i morti per forza peccano fino alla fine: ruba una mortadella, e scappando con la motocicletta muore per un incidente. Le prove del pentimento ora sono schiaccianti: le sue ultime parole sono:”Mò sto bene”, e il ladro a fianco a lui si fa il segno della croce (con la mano sbagliata, simbolo di una religione personale).


Alla luce di queste riflessioni potremmo dire che Accattone è l'emblema di una classe sociale, il sottoproletariato, che vive in un degrado morale e materiale prodotto in parte dall'industrializzazione e quindi dalla borghesia. Al contrario della borghesia però, il sottoproletariato riesce ancora a mantenere una forza vitale, una semplicità grazie alla quale la salvezza è ancora possibile.

Accattone di Pier Paolo Pasolini: la Misericordia divina del sottoproletariato

Pier Paolo Pasolini rappresenta forse un caso unico in Italia di poeta e letterato che ottiene un successo considerevole anche passando al cinema. I suoi film sono la naturale continuazione del suo lavoro letterario, e per prepararsi a vederli è necessario conoscerne i tratti principali. Al 1961 (anno di Accattone) Pasolini aveva pubblicato già Ragazzi di vita e Una vita violenta, romanzi su giovani del sottoproletariato romano. In quegli anni l'italia del Nord aveva conosciuto un'industrializzazione massiccia, ma da Roma in giù il processo era ancora in corso e fuori dal centro, nelle borgate, si trovavano ancora un tipo di popolazione che viveva alla giornata, guadagnondosi da vivere con la prostituzione o con piccoli furti. Erano “residui di civiltà”, dei gruppi di persone testimoni di un'Italia contadina e che ancora non era stata contaminata dalla cultura borghese. L'interesse di Pasolini per il sottoproletariato è un interesse che travalica i confini filosofici e politici e tocca altezze spirituali, quasi sacre. L'amore per il corpo incontaminato dal potere consumistico e la capacità di vedere ancora una possibilità di salvezza in questa popolazione sono gli strumenti con cui Pasolini si rapporta con il sottoproletariato romano e al tempo stesso sono i temi centrali nei primi due romanzi e nel suo primo film, Accattone.



Accattone (Franco Citti), soprannome di Vittorio, vive nelle borgate e si guadagna da vivere sfruttando una prostituta, Maddalena (Silvia Corsini), ex compagna di un criminale napoletano appena uscito dal carcere. Accattone è un “uccello del cielo”, un uomo che, secondo l'interpretazione di Pasolini del Vangelo di Matteo, vive alla giornata senza preoccuparsi di accumulare beni e senza pensare a farsi una carriera lavorando. Passa le giornate con i suoi amici e per una scommessa si butta dal Tevere dopo mangiato, salvandosi dalla morte per congestione. Questa scena introduce il tema della morte, perennemente presente nel film. Gli amici del criminale napoletano si presentano ad Accattone e vogliono sapere chi è stato a mandare in carcere il loro amico: Accattone tradisce Maddalena e la incolpa di tutto. La costringe ad andare a battere nonostante abbia una gamba rotta e in una notte subisce la vendetta dei criminali napoletani, che la picchiano lasciandola sola in una discarica a cielo aperto. La donna per paura non denuncia i suoi aggressori e accusa due amici di Accattone. La verità però viene a galla e viene messa in carcere per falsa testimonianza.
Senza più una donna da sfruttare Accattone ha bisogno di soldi; va così dalla sua ex moglie Ascenza (Paoloa Guidi) a chiederle soldi nel luogo dove lavora. Qui incontra Stella, una ragazza semplice e ingenua, figlia di una prostituta, della quale si innamora. Per regalarle le scarpe è disposto anche a rubare al figlio avuto da Ascenza. Con un gesto falsamente affettuoso sfila al bambino una catenina d'oro, che rivenderà in seguito. Accattone non perde la sua natura di sfruttatore e costringe anche Stella a prostituirsi, ma questa rifiuterà nel momento in cui è avvicinata dal primo cliente. Spinto dalla fame e dalla responsabilità nei confronti di Stella, trova un lavoro da un fabbro ma già una giornata di lavoro lo sfinisce non solo nel fisico ma moralmente e psicologicamente. Lui, uomo da sempre abituato a guadagnarsi da vivere con piccoli furti senza faticare, non soppporta essere sottomesso da qualcuno, non vuole dipendere da altri per vivere. Sogna così un'anticipazione di quello che verrà in seguito. Assiste al suo stesso funerale atteso dai suoi amici, ma il becchino gli vieta l'ingresso nel cimitero. Lui passa per le mura e vede di nuovo il becchino che lo sta seppellendo. Intanto una prostituta avverte Maddalena della relazione di Accattone, e lei lo denuncia. La polizia segue i suoi movimenti, lo coglie con le mani nel sacco durante un furto, nell'inseguimento in moto sbatte contro un camion e muore.



Il film pur nella sua semplicità è un concentrato di riferimenti letterari, pittorici e musicali. Si apre con una citazione del V canto del Purgatorio, il canto dei morti per forza. La citazione è un tratto della storia di Bonconte da Montefeltro, pentito in punta di morte la cui anima è stata contesa da un angelo e da un diavolo. La contesa sovrannaturale è presente anche nel film: Peppe er folle fa riferimento a una contesa simile per l'anima di Santo Barberone, ma la contesa è idealmente tutta la vita di Accattone. Il film è infatti una storia della misericordia divina, capace di redimere anche il più meschino ladr
uncolo e sfruttatore del mondo, ma che non può nulla invece sulla cinicità, sulla disillusione e sulla spietatezza piccolo borghese. Accattone è il simbolo di un sottoproletariato che può e sa ancora salvarsi dalle brutture del mondo a cui pure è costretto a cedere per tutta la vita. Accattone sa infatti cogliere nella sua semplicità di “uccello del cielo” quella sacralità della vita e quella spensieratezza che lo terranno fuori dal male e gli permetteranno di essere sepolto nella luce (il cimitero del sogno è una metafora del Paradiso e del Purgatorio: il becchino voleva seppellirlo all'ombra, mentre Accattone vuole essere seppellito al sole). La salvezza di Accattone è la statua angelica che si staglia sul Tevere, è il “mo' sto bene” ed è il segno della croce del suo amico al momento della morte (segno della croce eseguito al contrario, ma che Pasolini non volle cambiare perché rappresentava un segno di rapporto col divino individuale, per nulla confessionale).



Il Pasolini esordiente non è ancora un maestro dal punto di vista registico e formale, tanto che Fellini rifiuterà di produrre il film per la troppa semplicità e ruvidità delle riprese, ma iniziano già a delinearsi elementi poetici che caratterizzeranno tutto il Pasolini regista, ovvero la predilezione dei primi piani naturalistici molto influenzati dalla sua cultura pittorica, un interesse nel mostrare la naturalezza e l'eros emanati dai corpi e dialoghi semplici interpretati da attori “presi dalla strada”. L'arte figurativa svolge un ruolo importante nel cinema di Pasolini perché ne costituisce in gran parte l'ispirazione, e in Accattone Pasolini si rivolge in particolare agli affreschi di Masaccio. Il montaggio è frammentato e lento, spesso gioca con i contrasti anche fisici tra i volti (ad esempio volti dalla dentatura regolare vs volti dalla dentatura irregolare) e tra i chiaroscuri.



L'uso della musica in questo film è unico nel panorama italiano almeno all'epoca. Le musiche principali sono tratte da opere di Bach, artista la cui musica, secondo Pasolini, è intrisa di sacro e di un senso religioso profondo. Le musiche di Bach sono associate spesso a scene di degrado morale e sociale, quasi come a fornire l'aggettivo sacro a quelle scene. L'uso della musica di Bach in queste scene è anempatico, cioè vuole creare una contraddizione tra senso visivo e senso uditivo che colpisca, turbi, scandalizzi lo spettatore.




Accattone si presenta come uno dei capolavori del cinema italiano, con un impianto registico non perfetto dal punto di vista formale ma già precocemente consapevole e sicuro di sé. I temi sociali della realtà contemporanea come l'industrializzazione feroce e la povertà delle borgate romane si fondono con le esigenze più intime dell'autore, come la necessità di rappresentare corpi, volti, civiltà dimenticate che stanno per scomparire, creando una tensione lirica notevole che permea tutto il film, grazie al quale Pasolini contribuisce (insieme ad altri registi come Fellini e Antonioni) a delineare la vera e propria nascita del cinema d'autore italiano.

mercoledì 14 dicembre 2016

Segni e tracce di Pier Paolo Pasolini per le strade di Roma.



Esistono città che dal punto di vista turistico non offrono solo monumenti e architetture religiose da visitare, musei o altro. Alcune città possono essere visitate anche seguendo un particolare itinerario, che non prevede nessuna visita a monumenti conosciuti: è il caso di quelle città che hanno creato un legame indissolubile con uomini che le hanno abitate e che le hanno rese grandi in qualche modo. Non si tratta di visitare passivamente musei, chiese e luoghi di qualsiasi genere, ma si tratta di ricercare segni e tracce di un artista, di trovare quei luoghi che sono stati decisivi per la sua vita. Un tipo di turismo alternativo, certamente più impegnativo ma più fruttuoso e soddisfacente.

Il primo racconto di viaggio che proporrò in questo blog è un itinerario sui luoghi pasoliniani di Roma. Mi ero più volte ripromesso di fare una cosa del genere, ma richiedeva molta preparazione, non solo culturale ma logistica. Dovevo organizzare, fare una cernita dei luoghi, gestire gli orari dei mezzi eccetera. Alla fine opto per 4 luoghi fondamentalmente: Rebibbia, Torpignattara, Monteverde e Ostia. Cerco di limitarmi essenzialmente ai luoghi biografici decisivi per Pasolini, in quanto vorrei dedicare un altro articolo ai luoghi di romanzi, poesie e film. Il mio obiettivo sarà quello di raccogliere più indizi e tracce possibili della presenza fisica di Pasolini a Roma. Non solo case, statue o monumenti quindi, ma anche graffiti, foto nascoste in qualche locale, poesie scritte sui muri, tracce lasciate da artisti di strada o ultimi poeti di periferia, i soli che possono intonare l'eco delle idee pasoliniane oggi.

Decido di partire in un giorno di fine novembre, proprio nel mese in cui Pasolini trovò la sua morte. A causa di impegni universitari non ho potuto recarmi all'Idroscalo il 2 novembre in occasione della commemorazione della sua morte, e dovevo in qualche modo rimediare. Porto con me uno zaino con solo tre libri: Una vita violenta, Le ceneri di Gramsci e La religione del mio tempo. Un libro è il miglior compagno di viaggio che si possa desiderare.
Si comincia dall'inizio, e quindi decido di partire da Rebibbia, l'inizio di tutto. Pasolini visse a Rebibbia dal 1951 al 1953 con sua madre, i primi anni a Roma, quelli più difficili. Quelli appena dopo l'esilio dalla sua terra, dei primi impieghi da correttore di bozze, dei palazzi polverosi e delle periferie fatte di calce. Era lì che cominciava a sporcarsi le mani, per tentare di capire quell'immenso cambiamento che attraversava l'uomo novecentesco.
La vecchia casa si trova in via Giovanni Tagliere 3, mentre due passi più avanti c'è piazza Ferriani, in cui c'è una targa commemorativa. Abito a Roma sud, mi porterà a destinazione prima la metro e poi un autobus. La metro passa anche a Pietralata, in cui è ambientato Ragazzi di vita.
La targa è al centro di una piccola piazzetta, vicino a un paio di panchine. Le domeniche pomeriggio quel piccolo pezzo di asfalto è un luogo pieno di bambini che giocano con le macchinine o a calcio. In questo momento però sono solo, e mi siedo per qualche minuto su una panchina per leggere qualche verso de "Il pianto della scavatrice".
Mi alzo e faccio un giro intorno ai palazzi di periferia. Più a nord una strada porta a un enorme prato incolto, spazio non ancora sfruttato per edificare. Molto probabilmente quasi tutta quella zona negli anni '50 si presentava così, con palazzi nuovi alternati a spazi di campagna incolta, luogo delle partite di calcio dei bambini del sottoproletariato.



È ora di pranzo e sono circondato da palazzi residenziali, senza nessun bar o negozio, meglio passare alla prossima tappa: il bar Necci, nel cuore del Pigneto. Cinema, letteratura e aspetti biografici si fondo in questo quartiere, in cui Pasolini fece incontri fondamentali, ambientò parte de "Ragazzi di vita" e girò Accattone:"Erano giorni stupendi, in cui l’estate ardeva ancora purissima, appena svuotata un po’ dentro, dalla sua furia. Via Fanfulla da Lodi, in mezzo al Pigneto, con le casupole basse, i muretti screpolati, era di una granulosa grandiosità, nella sua estrema piccolezza; una povera, umile, sconosciuta stradetta, perduta sotto il sole, in una Roma che non era Roma". Il legame profondo tra Pasolini e quest'angolo di Roma, tra Centocelle e Torpignattara, è testimoniato dai numerosi indizi presenti in diversi angoli del quartiere. Proprio davanti al bar Necci (dove Pasolini si sedeva a mangiare sotto l'ombra di un albero nel cortile del bar) sono presenti due altri indizi di questa personale caccia al tesoro: un graffito e una targa. Il graffito rappresenta Pasolini vestito da supereroe mascherato, con una scritta che recita il celebre atto di accusa "Io so i nomi", tratto dall'articolo scritto per il Corriere della Sera, pubblicato meno di un anno prima della morte. L'opera è un'evidente rappresentazione della figura dell'intellettuale che si trasforma in una figura centrale anche per la cultura pop, arrivando ad essere paragonato a un eroe di fumetti. Il graffito presenta un evidente vandalismo: all'"Io so" di Pasolini risponde risponde un "fatte li cazzi tua". Voglio spendere due parole su ciò, perché credo che possa far nascere delle considerazioni interessanti. Ragioniamo un attimo: un graffito su un intellettuale morto più di 40 anni fa, che parla di eventi accaduti 50 anni fa, viene vandalizzato con frasi mafiose. Il vandalismo non fa altro che confermare la profonda attualità e inattualità del pensiero di Pasolini: attualità perché sa smuovere sentimenti ancora contrastanti, come se parlasse sempre al presente nonostante inveisca su fatti cronologicamente determinati; inattuale perché inadatto a qualsiasi tipo di asservimento al potere e al pensiero unico.

Entro nel bar, prendo un panino e un caffé per scaldarmi. Noto un ritratto di un Pasolini in bianco e nero con vestiti colorati, mentre fuori, proprio sotto l'albero sotto cui amava sedersi Pasolini, una foto di un Pasolini vestito con una maglia di calcio con sopra scritto "Mò sto bene", ultima battuta di Accattone prima di morire. Vado a mangiare proprio sotto quell'albero, in quel bar un tempo frequentato dal sottoproletariato e che invece oggi è al centro della movida romana.
Più avanti, seguendo via Fanfulla da Lodi si incontrano altri due murales dell'artista Maupal: uno rappresenta l'occhio di Pasolini, ispirato da una bellissima poesia di Pasolini, "Vedere la bellezza". L'altro rappresenta Margherita Caruso, la ragazza che ne "Il Vangelo Secondo Matteo" ha interpretato Maria da giovane.
Prendo un autobus che mi porta a Torpignattara. Davanti al cinema Impero, storico cinema di Torpignattara, sono presenti vari ritratti di celebri personaggi cinematografici, tra i quali Pasolini e Franco Citti, purtroppo per il momento inaccessibili per via della ristrutturazione del cinema.
Sulla facciata di un palazzo privato è esposto un graffito ideato dall'artista Nicola Verlato, che accosta personaggi novecenteschi (Pasolini e Ezra Pound) a personaggi e letterati storici come Petrarca.


Sono le 18:30 della prima giornata, ho raccolto abbastanza foto, visi e sensazioni utili per il mio articolo, posso ritenermi soddisfatto. Domani mi aspetta una giornata altrettanto impegnativa: torno a Torpignattara per fotografare gli ultimi murales, poi vado a Monteverde e Ostia.

Da Torpignattara a Monteverde devo prendere un autobus per Piazza Venezia e da lì un tram. Il traffico è frenetico, e Roma si prepara a un nuovo giorno di lavoro. I turisti occupano l'Ara Pacis come formiche. Il tram che mi porterà a Monteverde ferma prima a Trastevere: decido di scendere qui per mangiare e per cercare la Pietà di Pasolini, murales di un artista francese che si trova in Piazza San Callisto, almeno secondo alcuni siti.
Purtroppo nessuna traccia del murales, ma in compenso mi siedo davanti alla Basilica di Santa Maria in Trastevere a pranzare. Ogni tanto mi dimentico quanta fortuna può avere chi abita a Roma nel poter uscire a comprare una pizza e mangiare davanti a chiese e monumenti secolari.

Prendo di nuovo il tram, ed eccomi finalmente a Monteverde. La presenza di Pasolini in questo quartiere è stata forte. Monteverde è un quartiere che ha ospitato molte personalità importanti, come ad esempio Berdolucci, D'Annunzio e lo stesso Pasolini. È un quartiere le cui vie richiamano i luoghi di Ragazzi di vita: via Fonteiana, Donna Olimpia, la vecchia fabbrica di binari "Ferrobeton", la raffineria Purfina... I luoghi sono diversi, ma mi concentro su Via F. Ozanam, la via che collega Monteverde Nuovo a Monteverde Vecchio. La via procede da Monteverde Nuovo in discesa, e proprio alla fine ci sono oltre 200 metri di muro tappezzato di poesie, foto, ritratti e ricordi su Pier Paolo Pasolini. L'iniziativa è portata avanti dal poeta e pittore Silvio Parrello, che possiede la sua bottega proprio al centro di quel muro tappezzato. Lui è "er Pecetto" presente in "Ragazzi di vita", e porta avanti coraggiosamente il ricordo di Pier Paolo Pasolini attraverso poesie, interviste e conferenze. Le poesie scritte sui muri hanno avuto un particolare effetto su di me: da studente di lettere abituato a studiare le poesie su un'antologia corredata da analisi e note, avevo quasi dimenticato che le poesie potessero essere nude: è come se la letteratura lasciasse il suo Iperuranio, si svestisse di tutta la sua astrattezza datale dal mondo accademico e tornasse sulla terra in tutta la sua concretezza. Le poesie di strada di Pasolini parlano a ognuno di noi, ci dicono di dimenticare per un attimo la forma, la metrica, le analisi e le note e ci fanno tornare alla realtà. È letteratura pura, e in quanto tale è letteratura sporca, scritta sui muri e bagnata di pioggia, di fango e di vita. Mi siedo su una panchina ad osservare la gente che si ferma a leggere una poesia o ad osservare una foto, e mi rendo conto che ciò che ha creato Silvio Parrello è semplicemente fantastico. Mi fermo a leggere alcune poesie, anche se molte le conosco a memoria. Rileggo ad alta voce più volte "Supplica a mia madre", soffermandomi a lungo su ogni parola.

L'ultima tappa è Ostia, non solo per un motivo cronologico, ma logistico. Prendo il trenino verso le 17, poi un autobus che mi porta sul lungomare, un po' prima dell'Idroscalo. In realtà mancano ancora molte fermate, ma decido di fare un pezzo a piedi per osservare il tramonto sul mare e per immedesimarmi in qualche modo in quella notte del 1975. Il luogo della morte di Pasolini si trova all'interno di quello che oggi è un Parco Letterario dedicato a Pasolini stesso, leggermente più a nord del Porto turistico. Il luogo è molto periferico e isolato, si trova lungo una strada molto pericolosa da percorre a piedi, soprattutto di sera. Non ci sono marciapiedi e la strada è a doppia corsia. Da un lato c'è l'Idroscalo, dall'altro una grande tenuta verde, senza costruzioni. Purtroppo trovo il Parco chiuso "per motivi di sicurezza". Il Parco non ha un orario di chiusura, ma evidentemente apre solo in determinate occasioni, come la domenica o il giorno della commemorazione della morte di Pasolini. Leggo un'ultima poesia per togliermi di dosso l'inquietudine che mi provoca questo luogo, e torno alla fermata dell'autobus.

Durante il viaggio di ritorno rifletto su una cosa. Ho visitato vari luoghi di Roma molto distanti tra loro, secondo un itinerario che avevo costruito in precedenza, e in ognuno di essi ho trovato una traccia di Pier Paolo Pasolini, come se ci fosse un filo che unisse tutte le zone della città e manifestasse ancora, per intero, il suo ricordo. Dovremmo innamorarci dei segni visibili che il passato ha lasciato nelle città, come Pasolini era innamorato degli "avanzi di civiltà" che abitavano le periferie, quelle comunità ancora vive ma che portavano i segni della storia.

































martedì 15 novembre 2016

Gli inizi acustici di Dylan - Scopriamo il Nobel

“Bob Dylan”, introduzione e genesi dell'album

Bob Dylan inizia a scrivere canzoni a 21 anni. Era il tempo dell'abbandono del college, dei grandi viaggi, delle serate passate a suonare nei caffé. Era soprattutto il tempo di New York e delle basket house, dei primi lavori umilianti. Come un mendicante qualsiasi, chiedeva le offerte nel cestino (all'interno delle basket house, chiamate così proprio per questo motivo) alla fine dell'esibizione. Era il tempo del blues e del folk, quel folk che insegna a riflettere sulla realtà della vita, e che anche se privo di un ritmo interessante come il rock, era così pieno di tristezza, di fede, di disperazione, di trionfo. Il folk vinse la battaglia all'interno dell'animo del giovane Dylan contro il rock and roll. Woody Guthrie e Odessa, due grandissime voci del folk americano, presero il posto di Little Richard nella classifica dei suoi idoli. La canzone popolare vinceva sul ritmo scatenato, la chitarra acustica vinceva su quella elettrica e non solo metaforicamente: per comprare la sua prima acustica, Bob Dylan mise in vendita la sua Gibson. Partì per New York per incontrare il suo idolo Woody Guthrie, cantante folk americano che ebbe una notevole influenza su Dylan ma in generale su tutti i successivi cantanti folk americani. A New York inizia la vera gavetta suonando qua e là, e viene notato dal talent scout della Columbia Records, Jhon Hammond. Grazie a lui nel 1962 poté pubblicare il suo primo album, l'eponimo “Bob Dylan”, in cui saranno presenti le prime due canzoni scritte da lui, “Song to Woody”, e “Talkin New York”. In realtà le due canzoni riprendono in modo chiaro le melodie di due canzoni di Guthrie, rispettivamente “Talking Dustbowl Blues e “1913 Massacre”. Non si tratta però di plagio: infati le melodie delle canzoni folk sono spesso riprese da altre melodie folk e probabilmente anche le due melodie di Guthrie sono probabilmente riprese a loro volta da canzoni popolari. Le altre 11 canzoni contenute nell'album sono cover di famosi brani folk americani, tra cui la famosissima “House of the Risin' Sun”. Questi pezzi erano nel repertorio base delle esibizioni nei caffé di New York. Sebbene l'album non ebbe molto successo (Dylan fu chiamato “la Follia di Jhon Hammond”) e non ebbe molta influenza come i successivi, in esso sono presenti alcune caratteristiche di Dylan che verranno sviluppate in seguito. Prima di tutto il già citato amore per il folk, ma anche il gusto per uno stile vocale stridente, oscuro, a volte sommesso, come possiamo ascoltare soprattutto in House of the Risin' Sun.
Dopo 1966, Bob Dylan ha suonato soltanto 5 canzoni di questo album nei concerti, e solo “Song to Woody” e “Pretty Peggy-O” in modo frequente.

 Song to Woody

"Song to Woody" possiede una melodia pressocché uguale a “1913 Massacre” di Guthrie, anche se l'accompagnamento della chitarra nel pezzo di Woody era molto più scarno, con praticamente solo un accordo. Bob Dylan inserisce abbellimenti nell'accompagnamento e dal punto di vista della melodia inserisce cadenze tipicamente folk. Nel testo sono citati anche Leadbelly, Sonny e Cisco, altri artisti folk e blues, divenuti famosi nei night club, in quei sobborghi di New York pulsanti di musica, quella musica che influenzerà tutta la successiva musica occidentale. Song to Woody è la prima canzone scritta da Dylan contenuta in un album di modesto successo, eppure ci sono almeno due canzoni di due artisti importanti che presentano riferimenti a questo pezzo: una è di David Bowie, nella sua “Song for Bob Dylan”. "Now hear this, Robert Zimmerman, I wrote this song for you" ricorda evidentemente "Hey, hey Woody Guthrie, I wrote you a song." L'altra è “Pass it Along”, di Frank Turner. La presenza di influenze e citazioni di questo pezzo non conosciutissimo dimostra e sintetizza da sola la sterminata influenza di Dylan nel folk-rock.

lunedì 14 novembre 2016

"La notte" di Michelangelo Antonioni - Recensione

Michelangelo Antonioni nel 1960 (stesso anno de La dolce vita) gira L'avventura, il film che aprirà la cosiddetta Trilogia dell'incomunicabilità, composta inoltre da La notte e L'eclisse. Questi tre capolavori del cinema italiano hanno come filo conduttore il dramma esistenziale che vive l'uomo moderno (in particolare l'uomo italiano) in un'epoca che stava vedendo l'Italia passare da paese ancora pre-industriale e legato alla terra, a una vera e propria nazione sviluppata, con tutti i cambiamenti che il benessere economico avrebbe comportato, nel bene e nel male. L'anno 1960 è non a caso un punto di svolta nella storia italiana, perché segna il punto in cui l'industria fa sentire di più la sua presenza, anche nel cinema. In particolare ne La notte ci troviamo in una Milano che sta ribollendo di cemento: nuove costruzioni emergono in periferia sempre più velo
cemente, aspetto che in questi tre film di Antonioni avrà un'importanza centrale, perché sarà il simbolo di un'Italia che cambia anche dal punto di vista architettonico oltre che culturale. L'architettura pallida e squadrata riflette l'aridità esistenziale che vive l'uomo moderno. I due protagonisti sono una coppia che vive una profonda crisi non solo relazionale ma anche individuale. L'elemento che sconvolge l'ordine delle cose è, come in molte altre pellicole del regista, una morte: un loro amico intellettuale è malato terminale di cancro, e riceve la loro visita in ospedale proprio nel giorno prima della sua morte. Giovanni Pontano (interpretato da Mastroianni) è un intellettuale disilluso e cinico (“con la faccia perennemente mortificata”, dirà Pasolini) un po' sulla falsariga del Mastroianni de La dolce vita o di 8 e mezzo, ha appena scritto un libro ed è abbastanza famoso nell'ambiente intellettuale milanese.

 La crisi della coppia è evidente fin dall'inizio: Giovanni scambia delle effusioni con una paziente dell'ospedale, ma Lidia non ha alcuna reaizone. Alla presentazione del libro Lidia è turbata dalla confusione e dal successo del marito e va in giro per Milano senza meta. In questo tragitto sembra cercare qualcosa che la distragga dalla sofferenza interiore, ma niente sembra avere la capacità di catturare in modo continuativo la sua attenzione. La sera i due sono eternamente indecisi sul da farsi, e alla fine scelgono di accettare l'invito di un industriale, in una villa frequentata dalla Milano bene. Durante la notte passata in questa villa i due vivono avventure amorose parallele con due ospiti della villa: Giovanni con la figlia del proprietaro, altra donna annoiata e angosciata dalla vita; Lidia con un altro ospite, che però viene rifiutato prima del rapporto sessuale. Un temporale crea un guasto alla linea elettrica e nella confusione si ritrovano tutti e due nella villa. Lidia confessa di non provare più nulla per Giovanni, e all'alba gli legge in modo straniato una lettera che aveva scritto per lui quando ancora si amavano, per ribadire la fine del proprio sentimento. Giovanni tenta di avere un rapporto sessuale con lei in modo forzato e disperato, mentre la cinepresa li osserva da dietro le spalle.

 Questo film segna un punto di svolta nella storia del cinema italiano perché Antonioni è uno dei primi registi a superare un modo di narrare organico e d'intrattenimento, per arrivare a una narrazione lenta e poetica che corrisponde all'analisi lucida e disincantata della società italiana degli anni '60. Come già fece notare acutamente Pasolini, i protagonisti vivono uno stato di apatia e noia che però è inconsapevole: come un'ape che non sa di essere ape, i protagonisti soffrono ma non sanno di che natura è il loro male (Lidia in realtà manifesterà un minimo segno di consapevolezza). Tra speranze post belliche di un futuro migliore, una classe sociale (i “nuovi ricchi”) in ascesa in possesso all'improvviso di una ricchezza cospicua e una società vacua e opulenta che si crogiola nell'angoscia e nella noia, i personaggi del film appaiono vuoti e inerti, si trascinano per l'esistenza senza stimolo alcuno e neanche le emozioni più primitive (le effusioni con la paziente in ospedale o il “fascino” di un rapporto sessuale con uno sconosciuto) sembrano più aiutare l'uomo ad uscire da questo stato. Anche i dialoghi rarefatti e superficiali rappresentano il vuoto interiore: i personaggi dialogano in modo logico e coerente solo quando parlano di cose quotidiane e banali, non appena tentano di parlare di pensieri o sentimenti i dialoghi si fanno frammentati e incompiuti. Altro tema centrale è il rapporto intellettuale società: l'intellettuale è rappresentato come qualcuno che ha perso il proprio status sociale, che è ormai slegato e opposto alla società ma ama crogiolarsi nella propria solitudine, arrivando a perdere quell caratteristica di dissidenza e protesta verso il presente, propria dell'intellettuale del passato.

 Dal punto di vista registico bisogna sottolineare le inquadrature dell'ambiente che è parte integrante del film e ha un rapporto importante con i personaggi. Non solo rappresenta la crisi esistenziale dell'individuo, ma interagisce con i personaggi (ad esempio è celebre la scena dell'intonaco sgretolato da Lidia, sunto estremo del senso del film sublimato mirabilmente in un gesto che esprime noia e angoscia). Dal punto di vista figurativo Antonioni è attratto dalla pittura post-impressionista (De Chirico, Cézanne), interesse che in questo film produrrà una predilezione nelle inquadrature di volumi architettonici e di profondità di campo. Magistrale è l'uso dei chiaroscuri nella fotografia: luce e ombra sono presentati sempre in contrasto, opposizione che trova il suo culmine nel black-out, che crea una “notte nella notte”.

 Il film è un capolavoro assoluto della cinematografia mondiale che ha ispirato numerosi registi (tra i quali ricordiamo Kubrick, che lo inserì nella top ten dei suoi film preferiti), forse può apparire un po' lento e di difficile lettura per chi si è appena avvicinato al cinema, ma è assolutamente imperdibile per gli appassionati del miglior cinema italiano e mondiale.

domenica 13 novembre 2016

"Suzanne" di Leonard Cohen tra sesso, droga e religione: una proposta di lettura

"Suzanne" è la prima traccia del primo album di Leonard Cohen, "Songs of Leonard Cohen". La sua carriera musicale nasce già matura dal punto di vista compositivo, in quanto prima di pubblicare il primo album si era già cimentato per anni nella letteratura: aveva pubblicato due romanzi e varie raccolte di poesie. Cohen infatti nasce letterato e poeta, e solo in seguito, abbastanza tardi (33 anni), entra nel mondo della musica.
L'album non ebbe un successo immediato, soprattutto a causa dei temi trattati. Nel 1967 il clima culturale occidentale era in fermento: la Beat Generation faceva sentire le sue ultime ma più forti grida, erano maturi i tempi per la coscienza di opposizione alla guerra del Vietnam, e soprattutto la cultura hippie era al suo apice. Nel mondo si respirava aria di contestazione, una anno dopo questa tensione esploderà in modo piuttosto omogeneo in tutto il mondo con le contestazioni del '68. Nel 1967 uscirono i primi album dei Beatles e dei Pink Floyd, e il pubblico giovane aveva voglia di musica "spaziale", di sonorità che li avvicinasse alle vie di trasgressione più in voga di quel momento, e cioè sesso e droga. Non è un caso che molti pezzi di Sgt. Pepper's Lonely Club Band o di The Paper at the Gates of Dawn facciano più o meno velati riferimenti all' LSD. Il pubblico non era ancora pronta per testi intimisti e malinconici.
In realtà "Suzanne" non è un pezzo lontano dai temi della musica che ebbe successo in quel tempo: Cohen in quel periodo faceva spesso uso di droghe, anche come strumento di supporto alla creazione artistica, e aveva una vita sessuale piuttosto attiva. Come vedremo, in "Suzanne" non mancano riferimenti impliciti al sesso e alla droga, tuttavia non sono i temi centrali del pezzo e comunque Cohen riesce a condensarli in poesia attraverso un raro talento artistico, creando un brano che diventerà uno delle più famose ballate folk americane.

La Suzanne del testo e Suzanne Verdal, una ballerina incontrata a Montreal, già soggetto della raccolta di poesie Parasites oh Heaven. In una di queste sono già presenti le parole "Suzanne takes you down", primo verso della canzone. Il testo della canzone mescola realtà e alcune fantasie bibliche e spirituali prodotte dalla visita alla chiesa dei marinai di Montreal. Il testo poetico però supera la persona concreta di Suzanne Verdal, e crea una Suzanne dai contorni più universali, sfumati, astratti. Il testo letterale ci presenta una Suzanne che è riconducibile a una tipica ragazza hippie o comunque a una ragazza ai margini della società, che veste di piume e stracci, che ha un profondo rapporto con la natura. Potrebbe essere una ladra, una vagabonda, il simbolo della sicurezza materna, o appunto l'emblema della cultura hippie. Un testo poetico sfugge a qualsiasi precisa determinazione e un'analisi deve limitarsi a proporre diverse letture, quindi è piuttosto inutile sforzarsi di capire chi è davvero Suzanne (o chi o cosa davvero rappresenta), perdendo di vista tutto il valore evocativo e immaginifico della poesia.
Analizziamo la prima strofa:

  1. Suzanne takes you down to her place near the river
  2. You can hear the boats go by
  3. You can spend the night beside her
  4. And you know that she’s half crazy
  5. But that’s why you want to be there
  6. And she feeds you tea and oranges
  7. That come all the way from China
  8. And just when you mean to tell her
  9. That you have no love to give her
  10. Then she gets you on her wavelength
  11.  And she lets the river answer
  12.  That you’ve always been her lover
Nota: in tutte le poesie è presente un linguaggio allusivo, cioè un linguaggio che rimanda a qualcos'altro e i cui riferimenti non sono immediatamente comprensibili. Questa difficoltà in questo caso è accentuata dalla lingua diversa: per chi non è madre lingua inglese è molto complesso cogliere tutti i rimandi di una parola, per questo ci serviremo dell'Urban Dictionary, un dizionario online che raccoglie significati di parole di vari slang. 

Le strofe della canzone sono tre: la prima e l'ultima sono dedicate a Suzanne, quella centrale alla figura di Gesù, che come vedremo è una proiezione spirituale di Suzanne.
Fin da subito appaiono le caratteristiche eccentriche di Suzanne: vive in un luogo vicino al fiume (primo verso), "she's half crazy" e ha un profondo ascendente sugli elementi della natura ("she lets the river answer")
Caratteristiche che come abbiamo visto, la avvicinano molto alla cultura hippie, che proprio in quegli anni conosceva il suo apice. Gli hippie erano portatori di idee rivoluzionarie, sopratutto in campo sessuale. Erano contro il puritanesimo che si respirava in quel tempo e proponevano una vita caratterizzata dall'amore libero, un modo di amare molto diverso da quello comune, che partiva dall'idea che il sesso è un'azione normale come mangiare e dormire e che quindi ogni tabù doveva essere smascherato. "Amore libero" significava la possibilità di amare chiunque e dovunque, pur avendo una relazione stabile con una persona. La gelosia era infatti considerata un sentimento volgare e frutto dell'omologazione della società.
Nella canzone non ci sono espliciti riferimenti sessuali, ma il rapporto carnale sarà uno dei temi più affrontati da Cohen nei suoi lavori, e lo affronterà quasi sempre in modo allusivo, come ad esempio nella canzone "Master song", sempre di quest'album. La parola "master" non evoca nessun riferimento sessuale esplicita, ma in alcuni slang e codici gergali ha il significato di "padrone", inteso come padrone in un rapporto BDSM. La canzone infatti ha evidenti riferimenti a un rapporto di dominanza/sottomissione. Quindi se non sono presenti riferimenti sessuali espliciti, è vero che sono molto presenti quelli impliciti e allusivi. "To take down" al primo verso non significa solo "accompagnare" o "portare giù"; ma anche "portare" inteso come "portarsi a letto qualcuno". Chiaramente non è la prima immagine che il testo ci evoca, ma lo fa in modo allusivo e non immediato. Un altro riferimento sessuale neanche troppo implicito è "You can spend the night beside her", "The night" è anche il periodo della giornata in cui si manifestano molti atti criminali, come lo spaccio. Come detto sopra, Cohen faceva uso di droghe e anche in questo caso ci sono vari riferimenti impliciti. Il termine "boats" al secondo verso ad esempio in alcuni slang indica l'ecstasy, non ancora molto diffusa nel '67 ma comunque abbastanza utilizzata dai giovani della controcultura americana. Ancora, la parola "tea" può indicare in alcuni slang la marijuana.

Nella prima strofa ci sono anche vari riferimenti alla cultura orientale
Cohen ha da sempre avuto un rapporto molto profondo con la cultura orientale, così come tutta la cultura della Beat Generation; possiamo citare ad esempio il viaggio dei Beatles nel 1968 in India. Inoltre Cohen seguì il buddhismo per una parte della sua vita. Il té e le arance della canzone vengono dalla Cina, luogo in cui probabilmente è stata Suzanne. La personificazione del fiume che addirittura risponde alle domande è un riferimento alle religioni orientali, così come lo stesso fatto di porre domande è tipico del buddhismo zen. Nel testo non c'è nessuna domanda implicita, ma c'è la risposta del fiume a un'esitazione sentimentale dell'autore.
I versi 4-5 meritano un'attenta osservazione. "Half-crazy" tradotto con "mezza pazza" non rende bene l'idea in italiano, in quanto la parola "pazza" o "matta" in italiano portano in sé sensazioni negative, legate a una concezione del malato mentale ancora influenzata dai manicomi, ormai aboliti. L'aggettivo "crazy" in inglese ha un significato più positivo che negativo, che in italiano è in qualche modo reso dall'aggettivo "eccentrico".
Il verbo "to be there" al quinto verso è interessante, perché non significa solo "esserci", ma anche "mantenere il controllo delle proprie facoltà mentali". In questo caso il verbo è in antitesi con "half crazy". C'è da notare poi che mantenere il controllo delle facoltà mentali può essere anche un altro riferimento a sostanze stupefacenti: Cohen ha sempre affermato che non voleva mai eccedere con esse proprio per mantenersi abbastanza lucido. Qundi in questo verso Cohen esprime la volontà di voler restare presente mentalmente proprio per godersi la stravaganza di Suzanne. Un altro significato interessante di to be there nell' Urban Dictionary è ancora una volta "fare sesso"

Un elemento molto importante nella strofa e nella canzone è il tema dell'acqua: Suzanne vive vicino al fiume, ha un rapporto stretto col fiume dato che "lets the river answers".

Analizziamo ora il ritornello:

13. And you want to travel with her
14. And you want to travel blind
15. And you know that she can trust you
16. For you’ve touched her perfect body with your mind.
Il verbo "to travel" è senza dubbio la parola hiave del primo distico del ritornello. Ripetuto due volte, è portatore di due significati, uno immediato e uno allusivo. Il viaggio è un tema tipico della Beat Generation. Si pensi solo a Kerouac: fu l'artista più influente per la Beat Generation, le cui prose influenzarono anche molti musicisti, come Bob Dylan. La sua opera conosciuta è "Sulla strada", manifesto della Beat Generation e opera che inaugura la concezione del viaggio come strumento per la conoscenza del proprio io, del viaggio come cosa a sé.
Il verbo "to travel" inoltre richiama "to trip", dal medesimo significato ma utilizzato metaforicamente per il viaggio mentale indotto dalla droga. 
Nel secondo distico è interessante il rapporto che si instaura tra i verbi "to trust" e "to touch", un rapporto (non intenzionale da parte dell'autore) di natura evangelica. San Tommaso non crede alla resurrezione di Gesù finché non tocca le sue ferite alle mani e al costato.
Il verso 15 potrebbe essere la sintesi della canzone ma anche di tutto il lavoro di Cohen: la sintesi, il connubio perfetto tra il rapporto spirituale e il rapporto carnale sarà uno dei temi preponderanti nei pezzi di Cohen. Probabilmente Cohen non ebbe un rapporto sessuale con Suzanne, ma ammette di averlo desiderato e questo desiderio, questo amore platonicamente carnale è espresso in questo verso.
Il ritornello sarà uguale dopo la terza strofa, e simile dopo la seconda: lì però l'oggetto sarà Gesù, costitundo un evidente parallelismo tra la sua figura e quella di Suzanne.

Veniamo ora alla seconda strofa:

17. And Jesus was a sailor
18. When he walked upon the water
19. And he spent a long time watching
20. From his lonely wooden tower
21. And when he knew for certain
22. Only drowning men could see him
23. He said “All men will be sailors then
24. Until the sea shall free them”
25. But he himself was broken
26. Long before the sky would open
27. Forsaken, almost human
28. He sank beneath your wisdom like a stone

Dalla dimensione terrena e carnale si passa a quella metafisica e spirituale, e corrisponde al momento della visita alla chiesa dei pescatori di Montreal. Da Suzanne si passa a Gesù.
All'interno del movimento hippie esisteva il Jesus Movement, un movimento che identificava Gesù come un uomo libero per eccellenza, figura utilizzata dalla controcultura per la contestazione. Quindi probabilmente il Gesù di questa canzone non si identifica tanto con il Gesù storico, ma quanto con una rappresentazione del perseguimento della libertà individuale e collettiva.
Gesù però non era marinaio ma falegname: Cohen identifica Gesù con un marinaio probabilmente per evidenziare il suo parallelismo con Suzanne: come Suzanne è una ragazza capace di governare gli elementi della natura, anche Gesù ha in mano il timone e regola tutto. Nel verso seguente si fa riferimento all'episodio evangelico del camminamento sulle acque, quando Gesù raggiunge i suoi discepoli scivolando sull'acqua del lago. "His lonely wooden tower" è probabilmente la croce, da cui ha guardato nella sua solitudine il mondo per molto tempo, tempo enormemente dilatato dalla sua sofferenza. Al verso 22 soltanto gli uomini che affogano riescono a vederlo: forse viene inteso il vebo "affogare" in senso metaforico per "lasciarsi andare" e "perdere tutto", come predicava il Jesus Movement, ma potrebbe anche essere un allusione ai peccatori: Gesù infatti è sceso in terra per i peccatori (o almeno per coloro che ammettono di essere peccatori), per i naufraghi, e solo loro possono avere un qualche rapporto con lui. Come nella prima strofa è da notare un riferimento ancora più spiccato all'acqua, intesa non solo come elemento naturale ma anche come fonte di vita.
Il discorso diretto di Gesù al verso 23 richiama l'invito di Gesù ai propri discepoli, esortati a diventare pescatori di uomini (la chiesa di Montreal era proprio dedicata ai pescatori).
Nei versi successivi si fa ancora riferimento alla desolazione e alla sofferenza di Gesù, sofferenza presente ancora prima che il cielo si aprisse. Il cielo nella Bibbia si apre quando c'è un intervento diretto dello Spirito Santo, e potremmo interpretare questa desolazione come la solitudine che Dio provava "prima che il cielo si aprisse", cioè prima di creare l'uomo, e prima di entrare in contatto con lui e immedesimarsi in lui attraverso l'incarnazione di Dio in un uomo, cioè Gesù.
Gli ultimi due versi amplificano la sensazione di solitudine di Gesù, perché oltre alla solitudine "prima che il cielo si aprisse" ora non è neanche compreso dagli uomini. "Almost human", l'accostamento di "almost" all'aggettivo "human", mi rievoca indirettamente "Human, All too Human" di Nietzsche. Anche in quell'opera la solitudine è molto presente (un viandante parla con la sua ombra) e le verità metafisiche vengono scomposte e mostrate per quello che sono, cioè costruite a dall'uomo a sua immagine e somiglianza.

33. Now Suzanne takes your hand
34. And she leads you to the river
35. She is wearing rags and feathers
36. From Salvation Army counters
37. And the sun pours down like honey
38. On our lady of the harbor
39. And she shows you where to look
40. Among the garbage and the flowers
41. There are heroes in the seaweed
42. There are children in the morning
43. They are leaning out for love
44. They will lean that way forever
45. While Suzanne holds the mirror
46. And you want to travel with her
47. And you want to travel blind
48. And you know that you can trust her
49. For she’s touched your perfect body with her mind.

Passiamo alla terza e ultima strofa. Si torna alla dimensione umana: da Suzanne a Gesù, da Gesù si tona a Suzanne, in un moto speculare che sottolinea il loro parallelismo.
I primi due versi della strofa riprendono chiaramente i primi due versi della canzone: sono versi fratelli, sia strutturalmente che semanticamente. Il verbo "to lead" sottolinea ancora una volta il ruolo di guida di Suzanne.
I versi 35 e  36 sono ripresi direttamente dalla realtà, come quasi tutta la parte che parla di Suzanne. In un'intervista infatti Suzanne Verdal dichiarò che andava ai banconi dell'Esercito della Salvezza a prendere vestiti e stracci per lei e sua figlia. Questo modo di vestire rafforza l'idea di Suzanne dipinta come anticonformista. L'Esercito della Salvezza è un ente umanitario che si propone di diffondere il Vangelo agli emarginati, fondato nel 1865.
I versi 37 e 38 possiedono un altro riferimento biblico: il sole che si riversa come miele ricorda in modo abbastanza esplicito l'episodio in cui Dio somministra agli ebrei la manna, alimento che nell'Esodo viene descritto come "pane fatto col miele". Il parallelismo tra Suzanne e il divino è al culmine, e qui Suzanne acquista caratteri salvifici tipici di Dio. La ragazza del porto è evidentemente Suzanne, che viene dipinta con un altro parallelismo: il Sole che illumina una figura umana e il porto rimandano al Colosso di Rodi, statua del III a.C. rappresentante il dio Helios che teneva in mano una torcia, avente la funzione, secondo la leggenda, di faro.
Ancora una volta, nei versi 39-40 emerge la funzione salvifica e di guida insita in Suzanne: è lei che ci indica dove guardare, tra i rifiuti e i fiori, simbolo di tutte le contraddizioni della realtà, una realtà eterogenea in cui è complesso muoversi. Viene in mente, seppur con un significato e un'intensione poetica diversi, i versi di Fabrizio De André "Dal letame non nasce niente, dal letame nascono i fior". Fabrizio De André fu molto influenzato dalla musica e dalla poetica di Cohen, di cui tradusse in italiano in modo egregio proprio Suzanne.
Il verso 41 è particolarmente interessante. La parola "heroes" richiama, oltre al significato convenzionale di "eroi", la figura mitologica di Ero, in inglese "Hero". Il mito di Ero e Leandro è un mito diffuso fin dall'Antica Grecia e presente anche in Ovidio. Ero è una sacerdotessa di Afrodite che si incontrava ogni sera con il suo amante Leandro. Abitavano su due coste opposte, e Leandro attraversava ogni sera lo stretto a nuoto sotto la guida della lucerna accesa da Ero. Durante una tempesta la lucerna si spense e Leandro morì, causando il suicidio di Ero per la disperazione. La donna che indica la via, che illumina con la sua luce sopra le acque non può non ricordare i versi precedenti riferiti a Suzanne. Quasi a dire che se perdiamo di vista la guida di Suzanne ci troveremmo disperati e dispersi tra i flutti e le alghe, come Ero e Leandro. Oltre a questo significato e allusivo, il verso mantiene il significato letterale, ovvero eroi che vagano tra le alghe.
I bambini nel mattino sono l'immagine più poetica ed evocativa della poesia, a cui ognuno può associare il significato più adatto poiché è un'immagine che richiama l'emotività personale. I bambini sono le creature che hanno più bisogno di amore: probabilmente quest'immagine poetica può essere stata evocata da un fatto reale, cioè dalla visione della figlia di Suzanne. Suzanne che infatti sta dietro a tutta, è in cabina di regia a dirigere tutto, guardando lo specchio, altro riferimento all'acqua.

In conclusione potremmo dire che Suzanne si rivela uno dei più alti testi poetici di Leonard Cohen, che al contrario della maggior parte degli artisti, riesce a comporre test di una qualità elevata già agli esordi. Il testo è un testo poetico perché possiede diversi livelli di lettura, tutti funzionanti e coerenti tra loro: il senso letterale e immediatamente percepibile è l'incontro tra Cohen e Suzanne come è avvenuto realmente: questa interpretazione ne nasconde una metaforica che riguarda la funzione salvifica che Suzanne (o quello che rappresenta) possiede nei confronti dell'autore e dell'umanità intera; l'ultimo piano interpretativo è quello allusivo, quello dove rapporto carnale e spirituale si fondono inscindibilmente, e dove religione, sesso e droga hanno un forte impatto sulla poesia. Questo ultimo senso è dedotto da un'attenta osservazione e analisi testuale, ma essendo il più poetico e il più evanescente è anche il più difficile da chiarire con precisione. La poesia d'altronde deve evocare e non definire precisamente. "Suzanne" ci riesce benissimo, ed ecco perché questa canzone è da considerarsi una poesia a pieno titolo.