Introduzione
Nel 1976 David Bowie apriva Isolar, il
tour associato all'album Station to Station, con le più
significative sequenze di “Un chien andalou”. Solo questo
episodio potrebbe bastare per descrivere l'influenza che ebbe questo
cortometraggio nella cosiddetta “cultura pop”, quella cultura
fatta di immagini, suoni e volti, film, canzoni, cliché effimeri e
idee innovative che insieme contribuiscono a costruire il mondo in
cui siamo circondati.
D'altra parte, il connubio tra musica e
cinema è perfetto in quest'opera: le immagini oniriche sono
accompagnate dal Liebestod tratto dal Tristano e Isotta di Wagner,
dramma musicale considerato come il capolavoro del Romanticismo
Tedesco.
Per comprendere (o meglio, per
comprendere che non si può comprendere) opere come Un Chien Andalou,
bisogna tenere presente che è un film surrealista, e il surrealismo
si distingue dagli altri movimenti molto simili, come il dadaismo,
soprattutto per l'attenzione alla nascente psicoanasi. Il film è
senza dubbio debitore del surrealismo, che ne costituisce la base
culturale. In realtà però Bunuel si scagliava fortemente contro le
avanguardie, tra cui il surrealismo. Il motivo risiedeva
essenzialmente nel fatto che il surrealismo si indirizza di più
verso un pubblico colto e d'élite, e concepisce il cinema come
strumento estetizzante. Il cinema di Bunuel invece era rivolto a
tutti, e non si limitava alle soluzioni estetizzanti amate dal
surrealismo.
Il film è costruito come un'enorme
esperienza onirica anche dal punto di vista della tecnica
cinematografica, poiché il flusso delle inquadrature non rispetta il
classico impianto narrativo. Rottura degli schemi tecnici e visivi e
ricerca dello stupore, altre due cifre stilistiche con cui bisogna
avvicinarsi all'opera.
Psicoanalisi, ovvero: il sogno non può
essere poesia.
Dalì e Bunuel, gli autori effettivi
del cortometraggio, dichiararono che il materiale del film derivava
direttamente dai loro sogni, scelti tra quelli impossibili da
spiegare razionalmente. Anche se alcuni elementi possono essere
ricondotti a significati razionali, come la scelta del titolo o le
citazioni varie all'interno della pellicola, il significato del film
appare davvero non spiegabile a livello razionale, e infatti il suo
vero scopo non è penetrare gli spettatori con immagini poetiche e
artistiche, come farà poi tutto il cinema d'autore europeo e
americano nei decenni successivi. Un Chien Andalou non vuole essere
un'opera poetica. Il sogno e la poesia sono esperienze umane che
hanno una funzione simile: il sogno è una rappresentazione che
l'essere umano pone a se stesso in maniera del tutto inconscia per
rielaborare esperienze che razionalmente non si vogliono o non si
possono affrontare. Il sogno mescola materiali eterogenei per creare
pensieri apparentemente unitari, che nella notte provocano emozioni.
La poesia, almeno quella moderna iniziata tradizionalmente con la
poesia di Baudelaire, è molto affine al sogno, e anch'essa attinge a
materiali eterogenei per creare un'opera unitaria. La parola
“creazione” è fondamentale per capire cosa vuol dire poesia,
perché il significato della parola deriva dal verbo greco “poieo”,
che significa creare. Entrambe le esperienze, la poesia e il sogno,
creano, ma il sogno lo fa irrazionalmente. Per questo Un Chien
Andalou non può considerarsi cinema di poesia, come tra l'altro
dichiararono gli stessi autori. Questo non per sminuire il suo
valore, ma per riportarlo al suo vero significato, ovvero quello di
voler spiazzare lo spettatore, di destabilizzarlo, di disturbarlo, di
spezzare le convenzioni temporali e spaziali prima di quelle
cinematografiche. Le didascalie infatti non hanno alcuna attinenza
con ciò che si vede, ovvia parodia delle didascalie del cinema muto.
Il film deve “far dubitare della perennità dell'ordine esistente,
anche senza indicare direttamente una conclusione, anche senza
prendere apertamente posizione”.
Il cane andaluso
Anche se il film deve considerarsi
privo di significato, ci sono piccole tracce di significato in alcune
sue parti, a partire dal titolo. Sì, proprio l'elemento che
sembrerebbe più assurdo e incoerente con la trama (non si vede
nessun cane nel film, tanto meno andaluso) in realtà è
probabilmente l'elemento più pregno significato.
L'attenzione si sposta in ambito
letterario. Bunuel e Dalì erano anzitutto molto amici di Federico
Garcia Lorca, uno dei massimi poeti spagnoli del Novecento. La loro
amicizia si rompe però, e il dissidio diventerà artistico, oltre
che umano. Garcia Lorca nel 1928 pubblica il Romancero Gitano,
raccolta di poesie vitali, brillanti, splendenti. Da questi tre
aggettivi si capisce come la visione poetica di Lorca sia
completamente opposta alla poetica di Un chien Andalou. Dove c'è il
sole, la natura e la vita, in Bunuel regna l'orrore, il disturbo e la
morte. Contemporaneamente alla pubblicazione del Romancero, Bunuel
pubblicava la raccolta “Un perro andaluz”, una sorta di negativo
letterario del Romancero. Le due opere e i due poeti devono
necessariamente essere messi a confronto per capire il significato
del titolo. Probabilmente infatti il cane andaluso è proprio un
riferimento a Lorca, che infatti se la prese molto quando uscì il
film.
Analizzando il possibile significato
del titolo, già le nostre certezze che ci dicono di considerare il
film come un'opera fondata totalmente sull'esperienza inconscia si
sgretolano. Un'ulteriore convinzione ci sovviene quando si guardano
alcune scene con occhio attento, tenendo presente il cinema del
passato. In ambito cinematografico, il riferimento più presente e
più evidente è Keaton, del quale Bunuel è un grande ammiratore.
Nella parte finale, la ragazza esce di casa e si ritrova sulla
spiaggia. Evidente rottura del piano spaziale, che trae origine dalla
scena da “La palla numero 13”, in cui Keaton da una cassaforte si
ritrova in una strada. Un'altra citazione proviene da “Il
cameraman”, e anche la gestualità dell'attore protagonista, Pierre
Batcheff, ricorda molto quella del comico americano.
Dal punto di vista pittorico invece, le
citazioni più evidenti sono quelle a Magritte (“Oscuro sospetto”,
dove un uomo si osserva il palmo della mano. Verrà ripresa nel film
dove il protagonista osserva il proprio palmo ricoperto di formiche),
a Millet (“Angelus”) e a Vermeer (“La merlettaia”).
Scene rilevanti
Sarebbe inutile raccontare la trama di
un cortometraggio come questo, anche perché di trama non si tratta.
Basterà dire che una parvenza di continuità drammatica risiede nel
desiderio sessuale, e nella mancata soddisfazione di esso. La
pulsione erotica è inscindibilmente connessa con la pulsione di
morte; il fallimento dell'uomo si manifesta non nella mancata
soddisfazione della pulsione sessuale, ma nella manifestazione
reiterata di essa. Soddisfare la pulsione non allontana la pulsione
di morte, anzi: nella scena finale, l'uomo e la donna sono vicini,
immersi nella sabbia, ma come morti non si possono toccare. Una scena
disturbante, non certo quanto la scena iniziale, una delle più
famose della storia del cinema: Bunuel stesso taglia l'occhio di una
donna, che poi diventerà una luna grazie al montaggio.
L'apice onirico è raggiunto nella
scena della tentata violenza, in cui l'uomo si avvicina ai seni della
donna che si trasformano in quelli di un manichino. Poi la donna si
rifugia in un angolo, e l'uomo per avvicinarla è costretto a
trascinare tavole, due pianoforti, una testa d'asino e due preti.
A distanza di 88 anni, sebbene la sua
carica anticonformista e scandalizzante sia ormai esaurita, resta
un'opera che riesce a sorprendere ancora lo spettatore, non solo per
le immagini in sé, ma anche per quanto riguarda il discorso
meta-cinematografico. Resterà un'opera che come abbiamo detto
riuscirà a instillarsi profondamente nell'immaginario della storia
del cinema.
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