giovedì 29 dicembre 2016

La Divina Commedia in "Accattone"


L'influenza di Dante in Pasolini è presente in tutte le sue opere ed è fin troppo nota: dalla “Divina mimesis”, parodia provocatoria della Divina Commedia, a “Trasumanar e organizzar”, che riprende addirittura nel titolo la lingua sperimentalista di Dante. Proprio lo sperimentalismo linguistico è l'elemento che più li accomuna. L'influenza di Dante è presente anche in alcuni suoi film, e qui andremo ad analizzarla proprio nel primo film pasoliniano, Accattone. Il film si apre proprio con una citazione fedele ed esplicita tratta dal V Canto del Purgatorio:”L'angel di Dio mi prese, e quel d'Inferno gridava: 'O tu del ciel, perché mi privi? Tu te ne porti di costui l'eterno per una lagrimetta che 'l mi toglie” (interessante notare il corsivo di lagrimetta). Sarà utile quindi parlare ora del V Canto e del contsto da cui viene estrapolata la citazione, perché non è una citazione messa lì per caso e anzi offre una chiave di lettura del film molto interessante.

Il V Canto è il Canto dei morti per forza, cioè i morti di morte violenta e improvvisa. Essendo in Purgatorio, in vita sono stati peccatori fino all'ultimo, ma proprio sul punto di morire si sono pentiti. Dante suscita la curiosità delle anime perché proietta ombra essendo vivo e s fermano ad indicarlo, mentre Virgilio lo esorta a non dare ascolto alle chiacchiere di quelle anime. Deve rimanere inflessibile come una torre disturbata dai venti, perché troppi pensieri distolgono l'uomo dagli obiettivi che si è proposto. Ma le anime sono molte e come tutte le anime del Purgatorio vogliono essere ricordate ai familiari, affinché preghino per la loro redenzione. Per cui Virgilio dice a Dante di limitarsi ad ascoltare le loro storie senza fermarsi. Parlerà con Iacopo del Cassero, Bonoconte da Montefeltro e Pia de' Tolomei. L'episodio citato da Pasolini però riguarda proprio Bonoconte: è una vittima della battaglia di Campaldino, e sua moglie non prega per lui perché tutti lo credono all'Inferno: prova ne è il fatto che il suo corpo non sia mai stato trovato. Incuriosito, Dante chiede perché il suo corpo non sia mai stato ritrovato e Bonoconte risponde che arrivò nel fiume Archiano con la gola squarciata (interessante l'elemento del fiume, che nel film ha un ruolo molto importante). Si pentì invocando Maria e un angelo (altra figura presente nella scena del tuffo nel Tevere) prese la sua anima, mentre un diavolo protestava perché per un pentimento non poteva portarlo all'Inferno. Scatenò allora una tempesta che scatenò la piena dell'Archiano che portò via il suo corpo, sul fondo del fiume. Il contrasto tra angelo e diavolo per la contesa delle anime è una leggenda comune del Medioevo, e viene trasformata da Dante in un dramma elegiaco di un corpo insepolto.

Ora veniamo al film. La storia di Accattone potrebbe essere benissimo la storia di uno dei morti per forza di Dante. Accattone è uno sfruttatore di prostitute che vive alla giornata, con una mentalità tipica del sottoproletariato, tra meschinità, ignoranza e semplicità. La presenza della morte è presente dall'inizio alla fine del film, a cominciare dalla scena del tuffo. Accattone fa una scommessa con uno della sua combriccola, secondo il quale il corpo umano non potrebbe sopportare un bagno dopo aver mangiato, perché la differenza di temperatura farebbe fermare la circolazione (tra l'altro è una leggenda popolare ancora ritenuta vera oggi, sebbene sia una teoria senza fondamento effettivo). Accattone accetta la scommessa e tutti lo cominciano a dare per spacciato, iniziando a fare allusioni ironiche sulla sua probabile morte. Come scritto sopra, sul ponte si vede chiaramente la statua di un angelo con una croce vicino ad Accattone, scena che se rivista dopo aver visto tutto il film, fa capire che la redenzione di Accattone era presente sin dall'inizio: Accattone era destinato a pentirsi e a salvarsi. L'angelo è l'angelo che lotta contro il diavolo per la sua anima, lo si capisce dalla citazione iniziale ma anche dalla scena seguente: una volta riemerso vivo, arrivano er tedesco e Peppe er folle. Uno dei due gli dice che lo ha protetto Santo Barberone, e subito dopo si chiede chi avrà preso la sua anima, se Gesù Cristo o il Diavolo. Gli viene risposto che probabilmente se la staranno litigando. Altro riferimento alla lotta tra l'angelo e il diavolo per l'anima di Bonoconte, stavolta più nascosto e allusivo.
La vita di Accattone cambia con l'incontro con Stella, una ragazza ingenua e semplice. Proprio grazie a Stella smetterà di sfruttare le prostitute, e forse conoscerà il vero amore per la prima volta. Gli indicherà il cammino, proprio come le aveva chiesto scherzosamente durante il primo incontro. Tra l'altro “stella” è una delle parole più importanti della Commedia, improbabile che quel nome sia lì per caso. Il cammino di redenzione di Accattone è cominciato, ma trova un ostacolo improvviso: il lavoro, che gli serve per mantenere Stella. E' stancante e soprattutto umiliante, per cui decide di tornare a rubare. Prima però fa un sogno. Sogna di vedere i cadaveri dei briganti napoletani e di assistere al suo funerale. Scavalca il muro del cimitero perché non gli è permesso di entrare dalla porta principale, (un riferimento al Purgatorio?) e si trova davanti a un paesaggio di luce, metafora del Paradiso. Il becchino sta scavando la sua fossa, ma la scava in una zona d'ombra e Accattano vuole essere sepolto alla luce. Lo ripete più volte, simbolo di un pentimento convinto e sincero. Ma i morti per forza peccano fino alla fine: ruba una mortadella, e scappando con la motocicletta muore per un incidente. Le prove del pentimento ora sono schiaccianti: le sue ultime parole sono:”Mò sto bene”, e il ladro a fianco a lui si fa il segno della croce (con la mano sbagliata, simbolo di una religione personale).


Alla luce di queste riflessioni potremmo dire che Accattone è l'emblema di una classe sociale, il sottoproletariato, che vive in un degrado morale e materiale prodotto in parte dall'industrializzazione e quindi dalla borghesia. Al contrario della borghesia però, il sottoproletariato riesce ancora a mantenere una forza vitale, una semplicità grazie alla quale la salvezza è ancora possibile.

Accattone di Pier Paolo Pasolini: la Misericordia divina del sottoproletariato

Pier Paolo Pasolini rappresenta forse un caso unico in Italia di poeta e letterato che ottiene un successo considerevole anche passando al cinema. I suoi film sono la naturale continuazione del suo lavoro letterario, e per prepararsi a vederli è necessario conoscerne i tratti principali. Al 1961 (anno di Accattone) Pasolini aveva pubblicato già Ragazzi di vita e Una vita violenta, romanzi su giovani del sottoproletariato romano. In quegli anni l'italia del Nord aveva conosciuto un'industrializzazione massiccia, ma da Roma in giù il processo era ancora in corso e fuori dal centro, nelle borgate, si trovavano ancora un tipo di popolazione che viveva alla giornata, guadagnondosi da vivere con la prostituzione o con piccoli furti. Erano “residui di civiltà”, dei gruppi di persone testimoni di un'Italia contadina e che ancora non era stata contaminata dalla cultura borghese. L'interesse di Pasolini per il sottoproletariato è un interesse che travalica i confini filosofici e politici e tocca altezze spirituali, quasi sacre. L'amore per il corpo incontaminato dal potere consumistico e la capacità di vedere ancora una possibilità di salvezza in questa popolazione sono gli strumenti con cui Pasolini si rapporta con il sottoproletariato romano e al tempo stesso sono i temi centrali nei primi due romanzi e nel suo primo film, Accattone.



Accattone (Franco Citti), soprannome di Vittorio, vive nelle borgate e si guadagna da vivere sfruttando una prostituta, Maddalena (Silvia Corsini), ex compagna di un criminale napoletano appena uscito dal carcere. Accattone è un “uccello del cielo”, un uomo che, secondo l'interpretazione di Pasolini del Vangelo di Matteo, vive alla giornata senza preoccuparsi di accumulare beni e senza pensare a farsi una carriera lavorando. Passa le giornate con i suoi amici e per una scommessa si butta dal Tevere dopo mangiato, salvandosi dalla morte per congestione. Questa scena introduce il tema della morte, perennemente presente nel film. Gli amici del criminale napoletano si presentano ad Accattone e vogliono sapere chi è stato a mandare in carcere il loro amico: Accattone tradisce Maddalena e la incolpa di tutto. La costringe ad andare a battere nonostante abbia una gamba rotta e in una notte subisce la vendetta dei criminali napoletani, che la picchiano lasciandola sola in una discarica a cielo aperto. La donna per paura non denuncia i suoi aggressori e accusa due amici di Accattone. La verità però viene a galla e viene messa in carcere per falsa testimonianza.
Senza più una donna da sfruttare Accattone ha bisogno di soldi; va così dalla sua ex moglie Ascenza (Paoloa Guidi) a chiederle soldi nel luogo dove lavora. Qui incontra Stella, una ragazza semplice e ingenua, figlia di una prostituta, della quale si innamora. Per regalarle le scarpe è disposto anche a rubare al figlio avuto da Ascenza. Con un gesto falsamente affettuoso sfila al bambino una catenina d'oro, che rivenderà in seguito. Accattone non perde la sua natura di sfruttatore e costringe anche Stella a prostituirsi, ma questa rifiuterà nel momento in cui è avvicinata dal primo cliente. Spinto dalla fame e dalla responsabilità nei confronti di Stella, trova un lavoro da un fabbro ma già una giornata di lavoro lo sfinisce non solo nel fisico ma moralmente e psicologicamente. Lui, uomo da sempre abituato a guadagnarsi da vivere con piccoli furti senza faticare, non soppporta essere sottomesso da qualcuno, non vuole dipendere da altri per vivere. Sogna così un'anticipazione di quello che verrà in seguito. Assiste al suo stesso funerale atteso dai suoi amici, ma il becchino gli vieta l'ingresso nel cimitero. Lui passa per le mura e vede di nuovo il becchino che lo sta seppellendo. Intanto una prostituta avverte Maddalena della relazione di Accattone, e lei lo denuncia. La polizia segue i suoi movimenti, lo coglie con le mani nel sacco durante un furto, nell'inseguimento in moto sbatte contro un camion e muore.



Il film pur nella sua semplicità è un concentrato di riferimenti letterari, pittorici e musicali. Si apre con una citazione del V canto del Purgatorio, il canto dei morti per forza. La citazione è un tratto della storia di Bonconte da Montefeltro, pentito in punta di morte la cui anima è stata contesa da un angelo e da un diavolo. La contesa sovrannaturale è presente anche nel film: Peppe er folle fa riferimento a una contesa simile per l'anima di Santo Barberone, ma la contesa è idealmente tutta la vita di Accattone. Il film è infatti una storia della misericordia divina, capace di redimere anche il più meschino ladr
uncolo e sfruttatore del mondo, ma che non può nulla invece sulla cinicità, sulla disillusione e sulla spietatezza piccolo borghese. Accattone è il simbolo di un sottoproletariato che può e sa ancora salvarsi dalle brutture del mondo a cui pure è costretto a cedere per tutta la vita. Accattone sa infatti cogliere nella sua semplicità di “uccello del cielo” quella sacralità della vita e quella spensieratezza che lo terranno fuori dal male e gli permetteranno di essere sepolto nella luce (il cimitero del sogno è una metafora del Paradiso e del Purgatorio: il becchino voleva seppellirlo all'ombra, mentre Accattone vuole essere seppellito al sole). La salvezza di Accattone è la statua angelica che si staglia sul Tevere, è il “mo' sto bene” ed è il segno della croce del suo amico al momento della morte (segno della croce eseguito al contrario, ma che Pasolini non volle cambiare perché rappresentava un segno di rapporto col divino individuale, per nulla confessionale).



Il Pasolini esordiente non è ancora un maestro dal punto di vista registico e formale, tanto che Fellini rifiuterà di produrre il film per la troppa semplicità e ruvidità delle riprese, ma iniziano già a delinearsi elementi poetici che caratterizzeranno tutto il Pasolini regista, ovvero la predilezione dei primi piani naturalistici molto influenzati dalla sua cultura pittorica, un interesse nel mostrare la naturalezza e l'eros emanati dai corpi e dialoghi semplici interpretati da attori “presi dalla strada”. L'arte figurativa svolge un ruolo importante nel cinema di Pasolini perché ne costituisce in gran parte l'ispirazione, e in Accattone Pasolini si rivolge in particolare agli affreschi di Masaccio. Il montaggio è frammentato e lento, spesso gioca con i contrasti anche fisici tra i volti (ad esempio volti dalla dentatura regolare vs volti dalla dentatura irregolare) e tra i chiaroscuri.



L'uso della musica in questo film è unico nel panorama italiano almeno all'epoca. Le musiche principali sono tratte da opere di Bach, artista la cui musica, secondo Pasolini, è intrisa di sacro e di un senso religioso profondo. Le musiche di Bach sono associate spesso a scene di degrado morale e sociale, quasi come a fornire l'aggettivo sacro a quelle scene. L'uso della musica di Bach in queste scene è anempatico, cioè vuole creare una contraddizione tra senso visivo e senso uditivo che colpisca, turbi, scandalizzi lo spettatore.




Accattone si presenta come uno dei capolavori del cinema italiano, con un impianto registico non perfetto dal punto di vista formale ma già precocemente consapevole e sicuro di sé. I temi sociali della realtà contemporanea come l'industrializzazione feroce e la povertà delle borgate romane si fondono con le esigenze più intime dell'autore, come la necessità di rappresentare corpi, volti, civiltà dimenticate che stanno per scomparire, creando una tensione lirica notevole che permea tutto il film, grazie al quale Pasolini contribuisce (insieme ad altri registi come Fellini e Antonioni) a delineare la vera e propria nascita del cinema d'autore italiano.

mercoledì 14 dicembre 2016

Segni e tracce di Pier Paolo Pasolini per le strade di Roma.



Esistono città che dal punto di vista turistico non offrono solo monumenti e architetture religiose da visitare, musei o altro. Alcune città possono essere visitate anche seguendo un particolare itinerario, che non prevede nessuna visita a monumenti conosciuti: è il caso di quelle città che hanno creato un legame indissolubile con uomini che le hanno abitate e che le hanno rese grandi in qualche modo. Non si tratta di visitare passivamente musei, chiese e luoghi di qualsiasi genere, ma si tratta di ricercare segni e tracce di un artista, di trovare quei luoghi che sono stati decisivi per la sua vita. Un tipo di turismo alternativo, certamente più impegnativo ma più fruttuoso e soddisfacente.

Il primo racconto di viaggio che proporrò in questo blog è un itinerario sui luoghi pasoliniani di Roma. Mi ero più volte ripromesso di fare una cosa del genere, ma richiedeva molta preparazione, non solo culturale ma logistica. Dovevo organizzare, fare una cernita dei luoghi, gestire gli orari dei mezzi eccetera. Alla fine opto per 4 luoghi fondamentalmente: Rebibbia, Torpignattara, Monteverde e Ostia. Cerco di limitarmi essenzialmente ai luoghi biografici decisivi per Pasolini, in quanto vorrei dedicare un altro articolo ai luoghi di romanzi, poesie e film. Il mio obiettivo sarà quello di raccogliere più indizi e tracce possibili della presenza fisica di Pasolini a Roma. Non solo case, statue o monumenti quindi, ma anche graffiti, foto nascoste in qualche locale, poesie scritte sui muri, tracce lasciate da artisti di strada o ultimi poeti di periferia, i soli che possono intonare l'eco delle idee pasoliniane oggi.

Decido di partire in un giorno di fine novembre, proprio nel mese in cui Pasolini trovò la sua morte. A causa di impegni universitari non ho potuto recarmi all'Idroscalo il 2 novembre in occasione della commemorazione della sua morte, e dovevo in qualche modo rimediare. Porto con me uno zaino con solo tre libri: Una vita violenta, Le ceneri di Gramsci e La religione del mio tempo. Un libro è il miglior compagno di viaggio che si possa desiderare.
Si comincia dall'inizio, e quindi decido di partire da Rebibbia, l'inizio di tutto. Pasolini visse a Rebibbia dal 1951 al 1953 con sua madre, i primi anni a Roma, quelli più difficili. Quelli appena dopo l'esilio dalla sua terra, dei primi impieghi da correttore di bozze, dei palazzi polverosi e delle periferie fatte di calce. Era lì che cominciava a sporcarsi le mani, per tentare di capire quell'immenso cambiamento che attraversava l'uomo novecentesco.
La vecchia casa si trova in via Giovanni Tagliere 3, mentre due passi più avanti c'è piazza Ferriani, in cui c'è una targa commemorativa. Abito a Roma sud, mi porterà a destinazione prima la metro e poi un autobus. La metro passa anche a Pietralata, in cui è ambientato Ragazzi di vita.
La targa è al centro di una piccola piazzetta, vicino a un paio di panchine. Le domeniche pomeriggio quel piccolo pezzo di asfalto è un luogo pieno di bambini che giocano con le macchinine o a calcio. In questo momento però sono solo, e mi siedo per qualche minuto su una panchina per leggere qualche verso de "Il pianto della scavatrice".
Mi alzo e faccio un giro intorno ai palazzi di periferia. Più a nord una strada porta a un enorme prato incolto, spazio non ancora sfruttato per edificare. Molto probabilmente quasi tutta quella zona negli anni '50 si presentava così, con palazzi nuovi alternati a spazi di campagna incolta, luogo delle partite di calcio dei bambini del sottoproletariato.



È ora di pranzo e sono circondato da palazzi residenziali, senza nessun bar o negozio, meglio passare alla prossima tappa: il bar Necci, nel cuore del Pigneto. Cinema, letteratura e aspetti biografici si fondo in questo quartiere, in cui Pasolini fece incontri fondamentali, ambientò parte de "Ragazzi di vita" e girò Accattone:"Erano giorni stupendi, in cui l’estate ardeva ancora purissima, appena svuotata un po’ dentro, dalla sua furia. Via Fanfulla da Lodi, in mezzo al Pigneto, con le casupole basse, i muretti screpolati, era di una granulosa grandiosità, nella sua estrema piccolezza; una povera, umile, sconosciuta stradetta, perduta sotto il sole, in una Roma che non era Roma". Il legame profondo tra Pasolini e quest'angolo di Roma, tra Centocelle e Torpignattara, è testimoniato dai numerosi indizi presenti in diversi angoli del quartiere. Proprio davanti al bar Necci (dove Pasolini si sedeva a mangiare sotto l'ombra di un albero nel cortile del bar) sono presenti due altri indizi di questa personale caccia al tesoro: un graffito e una targa. Il graffito rappresenta Pasolini vestito da supereroe mascherato, con una scritta che recita il celebre atto di accusa "Io so i nomi", tratto dall'articolo scritto per il Corriere della Sera, pubblicato meno di un anno prima della morte. L'opera è un'evidente rappresentazione della figura dell'intellettuale che si trasforma in una figura centrale anche per la cultura pop, arrivando ad essere paragonato a un eroe di fumetti. Il graffito presenta un evidente vandalismo: all'"Io so" di Pasolini risponde risponde un "fatte li cazzi tua". Voglio spendere due parole su ciò, perché credo che possa far nascere delle considerazioni interessanti. Ragioniamo un attimo: un graffito su un intellettuale morto più di 40 anni fa, che parla di eventi accaduti 50 anni fa, viene vandalizzato con frasi mafiose. Il vandalismo non fa altro che confermare la profonda attualità e inattualità del pensiero di Pasolini: attualità perché sa smuovere sentimenti ancora contrastanti, come se parlasse sempre al presente nonostante inveisca su fatti cronologicamente determinati; inattuale perché inadatto a qualsiasi tipo di asservimento al potere e al pensiero unico.

Entro nel bar, prendo un panino e un caffé per scaldarmi. Noto un ritratto di un Pasolini in bianco e nero con vestiti colorati, mentre fuori, proprio sotto l'albero sotto cui amava sedersi Pasolini, una foto di un Pasolini vestito con una maglia di calcio con sopra scritto "Mò sto bene", ultima battuta di Accattone prima di morire. Vado a mangiare proprio sotto quell'albero, in quel bar un tempo frequentato dal sottoproletariato e che invece oggi è al centro della movida romana.
Più avanti, seguendo via Fanfulla da Lodi si incontrano altri due murales dell'artista Maupal: uno rappresenta l'occhio di Pasolini, ispirato da una bellissima poesia di Pasolini, "Vedere la bellezza". L'altro rappresenta Margherita Caruso, la ragazza che ne "Il Vangelo Secondo Matteo" ha interpretato Maria da giovane.
Prendo un autobus che mi porta a Torpignattara. Davanti al cinema Impero, storico cinema di Torpignattara, sono presenti vari ritratti di celebri personaggi cinematografici, tra i quali Pasolini e Franco Citti, purtroppo per il momento inaccessibili per via della ristrutturazione del cinema.
Sulla facciata di un palazzo privato è esposto un graffito ideato dall'artista Nicola Verlato, che accosta personaggi novecenteschi (Pasolini e Ezra Pound) a personaggi e letterati storici come Petrarca.


Sono le 18:30 della prima giornata, ho raccolto abbastanza foto, visi e sensazioni utili per il mio articolo, posso ritenermi soddisfatto. Domani mi aspetta una giornata altrettanto impegnativa: torno a Torpignattara per fotografare gli ultimi murales, poi vado a Monteverde e Ostia.

Da Torpignattara a Monteverde devo prendere un autobus per Piazza Venezia e da lì un tram. Il traffico è frenetico, e Roma si prepara a un nuovo giorno di lavoro. I turisti occupano l'Ara Pacis come formiche. Il tram che mi porterà a Monteverde ferma prima a Trastevere: decido di scendere qui per mangiare e per cercare la Pietà di Pasolini, murales di un artista francese che si trova in Piazza San Callisto, almeno secondo alcuni siti.
Purtroppo nessuna traccia del murales, ma in compenso mi siedo davanti alla Basilica di Santa Maria in Trastevere a pranzare. Ogni tanto mi dimentico quanta fortuna può avere chi abita a Roma nel poter uscire a comprare una pizza e mangiare davanti a chiese e monumenti secolari.

Prendo di nuovo il tram, ed eccomi finalmente a Monteverde. La presenza di Pasolini in questo quartiere è stata forte. Monteverde è un quartiere che ha ospitato molte personalità importanti, come ad esempio Berdolucci, D'Annunzio e lo stesso Pasolini. È un quartiere le cui vie richiamano i luoghi di Ragazzi di vita: via Fonteiana, Donna Olimpia, la vecchia fabbrica di binari "Ferrobeton", la raffineria Purfina... I luoghi sono diversi, ma mi concentro su Via F. Ozanam, la via che collega Monteverde Nuovo a Monteverde Vecchio. La via procede da Monteverde Nuovo in discesa, e proprio alla fine ci sono oltre 200 metri di muro tappezzato di poesie, foto, ritratti e ricordi su Pier Paolo Pasolini. L'iniziativa è portata avanti dal poeta e pittore Silvio Parrello, che possiede la sua bottega proprio al centro di quel muro tappezzato. Lui è "er Pecetto" presente in "Ragazzi di vita", e porta avanti coraggiosamente il ricordo di Pier Paolo Pasolini attraverso poesie, interviste e conferenze. Le poesie scritte sui muri hanno avuto un particolare effetto su di me: da studente di lettere abituato a studiare le poesie su un'antologia corredata da analisi e note, avevo quasi dimenticato che le poesie potessero essere nude: è come se la letteratura lasciasse il suo Iperuranio, si svestisse di tutta la sua astrattezza datale dal mondo accademico e tornasse sulla terra in tutta la sua concretezza. Le poesie di strada di Pasolini parlano a ognuno di noi, ci dicono di dimenticare per un attimo la forma, la metrica, le analisi e le note e ci fanno tornare alla realtà. È letteratura pura, e in quanto tale è letteratura sporca, scritta sui muri e bagnata di pioggia, di fango e di vita. Mi siedo su una panchina ad osservare la gente che si ferma a leggere una poesia o ad osservare una foto, e mi rendo conto che ciò che ha creato Silvio Parrello è semplicemente fantastico. Mi fermo a leggere alcune poesie, anche se molte le conosco a memoria. Rileggo ad alta voce più volte "Supplica a mia madre", soffermandomi a lungo su ogni parola.

L'ultima tappa è Ostia, non solo per un motivo cronologico, ma logistico. Prendo il trenino verso le 17, poi un autobus che mi porta sul lungomare, un po' prima dell'Idroscalo. In realtà mancano ancora molte fermate, ma decido di fare un pezzo a piedi per osservare il tramonto sul mare e per immedesimarmi in qualche modo in quella notte del 1975. Il luogo della morte di Pasolini si trova all'interno di quello che oggi è un Parco Letterario dedicato a Pasolini stesso, leggermente più a nord del Porto turistico. Il luogo è molto periferico e isolato, si trova lungo una strada molto pericolosa da percorre a piedi, soprattutto di sera. Non ci sono marciapiedi e la strada è a doppia corsia. Da un lato c'è l'Idroscalo, dall'altro una grande tenuta verde, senza costruzioni. Purtroppo trovo il Parco chiuso "per motivi di sicurezza". Il Parco non ha un orario di chiusura, ma evidentemente apre solo in determinate occasioni, come la domenica o il giorno della commemorazione della morte di Pasolini. Leggo un'ultima poesia per togliermi di dosso l'inquietudine che mi provoca questo luogo, e torno alla fermata dell'autobus.

Durante il viaggio di ritorno rifletto su una cosa. Ho visitato vari luoghi di Roma molto distanti tra loro, secondo un itinerario che avevo costruito in precedenza, e in ognuno di essi ho trovato una traccia di Pier Paolo Pasolini, come se ci fosse un filo che unisse tutte le zone della città e manifestasse ancora, per intero, il suo ricordo. Dovremmo innamorarci dei segni visibili che il passato ha lasciato nelle città, come Pasolini era innamorato degli "avanzi di civiltà" che abitavano le periferie, quelle comunità ancora vive ma che portavano i segni della storia.